European Union Prize for Literature: il 9 ottobre a Francoforte premiazione dei 12 migliori autori emergenti in Europa

Scritto da Redazione on . Postato in Autori, Libri, Premi

Sarà conferito il 9 ottobre prossimo a Francoforte, alla vigilia della Fiera del Libro più famosa al mondo, il premio European Union Prize for Literature, che per il quarto anno consecutivo vedrà riconosciuti alcuni fra i migliori talenti emergenti in Europa. Il premio, come comunicano dagli uffici dell’Unione Europea, sarà consegnato dal commissario europeo per l’Educazione, la Cultura, il Plurilinguismo e la Gioventù Androulla Vassiliou, la quale ha dichiarato che “i talenti vincitori ricevono garanzia, da parte dell’Unione Europea, che le loro opere saranno tradotte nelle lingue dell’Unione Europea. Negli ultimi anni sono stati già 32 su 35 i vincitori ad essere tradotti in 19 lingue dell’Unione, per un totale di 104 traduzioni realizzate”. Tra gli organizzatori del premio ci sono la European Booksellers Federation (EBF), lo European Writers‘ Council (EWC), la Federazione degli Editori Europei (FEP) e il Culture Programme dell’Unione Europea.

Ogni anno infatti, tramite il Culture Programme, la Commissione Europea destina 3 milioni di euro al sostegno alla traduzione di opere letterarie nelle 23 lingue dell’Unione e nelle lingue dei paesi che partecipano al Programma Culturale europeo. Dal 2007 a oggi sono state più di 3000 le opere letterarie tradotte attingendo ai fondi della Commissione Europea. Fra gli italiani che hanno vinto il premio in passato c’è lo scrittore Daniele Del Giudice. Nessun italiano, invece, fra i vincitori dello scorso anno, provenienti dalla Bulgaria, Grecia, Repubblica Ceca, Islanda, Lettonia, Liechtenstein, Malta, Montenegro, Paesi Bassi, Serbia, Turchia e Gran Bretagna.

Isabella Zani: “Il rischio d’impresa lo paghi l’imprenditore, basta con i freelance che finanziano le perdite delle case editrici”

Scritto da Redazione on . Postato in Lavoro, News

Ecco la seconda parte della lettera indirizzata da Isabella Zani, traduttrice letteraria, al mondo editoriale italiano, che pubblichiamo con il permesso dell’autrice. La prima parte si trova qui.

(segue dalla prima parte) No, certo, non è la prima volta che mi succede: anzi, è solo l’ultima di una lunga serie. Gli editori italiani fanno quasi tutti così, procedono per arbitri grossolani e protervi. Contratti blindati, negoziabili solo in minima parte se non mai per nessun motivo, compensi decisamente inadeguati al lavoro – almeno al mio, la traduzione letteraria dall’inglese – nessun anticipo (il solo accenno strappa risate) ma soprattutto termini di pagamento da lunghi a lunghissimi, e che quasi mai vengono rispettati. L’editoria italiana di traduzioni, molto semplicemente, si finanzia con i compensi dei collaboratori free-lance. Si assume il cosiddetto rischio d’impresa in modo, diciamo, bizzarro: se il rischio genera guadagni, l’impresa editoriale non li divide con nessuno fra quanti hanno contribuito a confezionare prodotto di successo; ma se il rischio è causa di perdite, l’impresa editoriale lo scarica sui collaboratori come me. Perché tanto quasi nessuno «fa causa», il recupero crediti è costoso, i tempi giudiziari sono quelli che sono… ma soprattutto perché nessuno vuole passare da piantagrane. Infatti il lavoro di traduzione è tanto, ma gli incarichi di traduzione editoriale pagati sopra il limite della decenza, per committenti seri e affidabili, su libri che valgano la fatica di mesi di lavoro scrupoloso e senza cedimenti, sono pochi. (C’è abbondanza di sfruttamento, fra tutte le imprese che si servono di traduzioni a qualunque titolo, non solo quelle editoriali, ma non c’è abbondanza di lavoro dignitoso e dignitosamente compensato.)

Dico queste cose proprio a lei – ma ripeto, se potessi vorrei dirle al Presidente della vostra casa editrice – per due motivi.  

Il primo riguarda voi: le occasioni di collaborazione avute in passato erano andate sempre bene, e perciò mi fidavo. Prima delle trattative, prima dei contratti, prima di tutto io mi fidavo del vostro nome e della vostra reputazione. Pensavo di avere a che fare con delle persone per bene. Oggi so che non sono l’unica in questa situazione, che altri colleghi come me attendono il dovuto e non hanno risposta, e se qualcuno dovesse chiederci dei vostri comportamenti, della vostra affidabilità, né io né loro potremmo dire che le cose stanno diversamente da come stanno: voi avete dei problemi, e trattenete i nostri soldi. Quelli che ci dovete secondo i patti. E chi infrange i patti, chi non rispetta gli accordi perché può prevalere senza conseguenze, non è una persona per bene. Siete sicuri che tappare le falle nei conti correnti dell’Azienda sia più importante che mantenere la vostra reputazione, anche di committenti rispettosi? Che non ci sia un modo più degno, di tappare queste falle, che incrinare o distruggere la fiducia che un bravo collaboratore ripone in voi? L’editoria è un mondo piccolo, e i vostri concorrenti seminavano già mesi addietro il dubbio che voi non foste «più gli stessi», ma né io né altri ci abbiamo dato peso. E se anche l’avessimo fatto? Non siamo gente che può permettersi troppi distinguo: siamo cottimisti che devono produrre cartelle, meglio che possono nel tempo che hanno.

Il secondo motivo invece riguarda me, che sono stanca. Faccio questo lavoro da dieci anni, credo di farlo bene almeno in termini di scrupolo e di impegno, ho avuto modo di imparare molto, continuo a farlo e tra cinque anni sarò più brava di adesso, che sono più brava di cinque anni fa; vorrei anche costare di più, fra cinque anni, malgrado ora non costi più di cinque anni fa. Ma sono stanca di tenermi tutte queste cose per me. Sono stanca di non far altro che sforzarmi di migliorare, solo per rendermi conto che il mio lavoro non merita nemmeno di venire pagato puntualmente. Ho diritto a ricevere il dovuto quando si è pattuito che lo riceverò: non prima, ma nemmeno dopo, dopo ancora, chissà quando. Il rischio d’impresa lo paghi l’imprenditore: io ho solo firmato un contratto in cui mi impegnavo a fornire una certa prestazione professionale entro una tal data, in cambio di una somma di denaro da corrispondersi alla talaltra data. Non sono socia dell’impresa. Non partecipo degli utili, e mi rifiuto di finanziarne le perdite.

E se invece la vostra posizione è che questo risultato non si può ottenere, se le cose non possono cambiare e semmai peggioreranno, se un editore potrà continuare a decidere in sprezzo degli impegni presi chi verrà pagato e chi no, e quando sì e quando no, allora, per favore, almeno smettiamola con la farsa dei contratti da compilare, spedire, controfirmare, rispedire… mettiamo fine a questo spreco di cellulosa. Perché un contratto che una parte può decidere di non rispettare è carta straccia. E allora, almeno, data l’inevitabilità del danno, risparmiateci almeno le beffe.

Grazie della pazienza, cordialmente 

Isabella Zani

Brasile: accordo tra Kobo e Livraria Cultura per la vendita di eReader e di eBook

Scritto da Redazione on . Postato in News

L’azienda nippocanadese produttrice di eReader e eBook Kobo e la catena libraria brasiliana Livraria Cultura hanno da poco firmato un accordo per incrementare la diffusione degli eBook in Brasile. Entro la fine di ottobre il lettore ebook di Kobo Touch sarà in vendita nei 14 negozi Livraria Cultura in brasile, e sarà possibile acquistare eBook tramite il sito web di Livraria Cultura o direttamente nelle librerie. Attraverso questo accordo Kobo procede dunque la sua strategia di affermazione nel mercato mondiale delle librerie indipendenti, in scia con la collaborazione da poco annunciata negli Stati Uniti con l’American Booksellers Association.

Il dispositivo eReader, hanno comunicato i vertici aziendali con un comunicato stampa, sarà venduto in Brasile con il logo di Livraria Cultura, e la partnership permetterà la pubblicazione di circa 3 milioni di eBook in Brasile, di cui circa 15mila in lingua portoghese. Il Brasile è, al momento attuale, uno dei mercati verso i quali più si indirizzano le speranze di crescita del mercato dei libri digitali. Dall’inizio del 2012 il numero di titoli pubblicati in digitale è cresciuto di circa il 50%, ma l’incidenza della diffusione di eReader nella popolazione è quasi nulla al momento attuale.

Kodak firma accordi per entrare nel mercato mondiale dei libri on demand e dell’autopubblicazione

Scritto da Redazione on . Postato in News

Kodak, ex gigante dell’industria fotografica messo pesantemente in ginocchio negli ultimi anni dai rapidi cambiamenti nel mercato mondiale della fotografia di cui era stata leader per decenni, ha annunciato oggi l’avvio di una partnership con altri due grandi nomi dell’industria editoriale americana, On Demand Books e ReaderLink, per la distribuzione di apparecchi per la stampa di libri e foto-libri nei suoi corner commerciali Kodak Picture.

Cartello eBook in Europa: la Commissione Europea invita Apple e gli editori “a presentare osservazioni”

Scritto da Redazione on . Postato in News

Oggi è giunta la pubblicazione dei pareri ufficiali della Commissione Europea relativi all’accordo con i 4 editori rei di cartello anticoncorrenza, con Apple, sul prezzo degli ebook negli store europei. Non si tratta ancora di un accoglimento formale della proposta di accordo, ma di un invito a presentare osservazioni. I termini dell’accordo erano in realtà già noti da tempo, Bibliocartina ne aveva dato notizia il 31 agosto scorso. Ecco a questa pagina l’invito della Commissione Europea. In sostanza, la Commissione Europea ha accolto l’offerta avanzata il mese scorso dalla stessa Apple e da quattro dei cinque editori sotto indagine (Hachette Livre SA, HarperCollinsMacmillanSimon&Schuster, mentre l’editore fuori dall’accordo è Penguin), di offrire per i prossimi due anni i propri ebook a prezzi scontati su varie librerie online. Si legge nel parere della commissione: “Per un periodo di due anni i quattro gruppi editoriali si impegnano a non restringere, limitare o impedire ai rivenditori di libri elettronici di stabilire, modificare o ridurre il prezzo al dettaglio dei libri elettronici e/o di offrire sconti e promozioni. Per quanto riguarda i contratti d’agenzia, il valore complessivo degli sconti o delle promozioni offerte da un rivenditore non deve comunque superare l’ammontare complessivo equivalente alle commissioni totali che l’editore versa a quel rivenditore per la vendita al pubblico di libri elettronici in un periodo di 12 mesi.” Apple e gli editori evitano in questo modo di pagare un risarcimento ai consumatori, come avverrà invece negli Stati Uniti per quegli editori che sono giunti a un accordo con il Dipartimento di Giustizia americano.

Lettera a un redattore da una traduttrice letteraria: “L’editoria italiana di traduzioni si finanzia con i compensi dei collaboratori free-lance”, di Isabella Zani

Scritto da Redazione on . Postato in Lavoro, News

Pubblichiamo, con il permesso dell’autrice, una lettera rivolta da Isabella Zani, traduttrice letteraria dall’inglese, al mondo editoriale italiano. Nella lunga lettera si rivolgono critiche taglienti al sistema di gestione delle collaborazioni freelance da parte dell’editoria italiana. La pubblichiamo in due parti:

“Caro Redattore

la spero bene, e la avverto che non sarò breve.

Scrivo di nuovo a lei perché non ho indirizzi e-mail affidabili per la presidenza della sua Casa Editrice, reale destinataria di questo messaggio; ma in ogni caso perché fu lei a telefonarmi diversi giorni fa, per riferirmi che il pagamento dovuto per la traduzione consegnata il 10 maggio – pagamento che attendevo alla fine di luglio (fidando sul consueto termine di sessanta giorni «fine mese») ma che, trascorsi inutilmente lo stesso mese di luglio e poi il mese di agosto, mi era stato annunciato per la fine di agosto con «valuta ai primi di settembre» – era stato nuovamente rimandato alla fine di settembre (120 giorni fine mese dalla consegna, tanto per tenere i conti). Annuncio che peraltro poggiava solo sulla sua e mia buona fede, perché i documenti ufficiali in questi casi (ordini di bonifico, matrici di assegni, chissà) rimangono sempre misteriosi.

Lei ascoltò quanto avevo da dire in merito a questo comportamento da parte dell’Azienda per cui lei lavora; affermò che mi avrebbe compresa se in futuro non avessi più accettato di lavorare per voi (ma io ho bisogno di più lavoro, non meno); si disse concorde con le mie opinioni ma impotente a cambiare la situazione, e mi salutò esprimendo la speranza di potermi richiamare presto con notizie confortanti, cosa che a distanza di oltre una settimana non è accaduta. Ma in effetti sono abbastanza certa che lei per primo non credesse al suo auspicio, come non vi credetti io: perché siamo adulti e professionisti che, sebbene con mansioni diverse, dipendono da un editore di libri per il proprio sostentamento, e sappiamo ormai anche troppo bene che l’editoria libraria è un’industria governata dall’arbitrio, quando non dal vero e proprio capriccio.

Come definire altrimenti che arbitraria la decisione improvvisa – e che non mi sarebbe stata comunicata a meno di numerosi e umilianti solleciti – da parte della vostra presidenza di sospendere i pagamenti ai collaboratori, malgrado i contratti firmati, malgrado l’esecuzione e la consegna puntuale del lavoro, malgrado i patti? Le ragioni, ovviamente, non sono difficili da immaginare. I libri sono oggetti amatissimi che però non rendono molto; forse già da quando esistono, ma in questi ultimi tempi di sconquassi finanziari ed economici meno che mai, ed evidentemente il primo semestre di quest’anno per l’editoria nazionale è stato davvero il «bagno di sangue» che si sente menzionare qua e là. Quindi le casse sono vuote, i conti non tornano, e allora che cosa si fa? Si aspetta a pagare i traduttori (e magari i revisori esterni, i grafici, chissà quanti altri collaboratori dotati di potere contrattuale e strumenti di rivalsa scarsi o nulli). E quanto si aspetta? Un mese, due, tre, in realtà nessuno può dirlo perché la decisione è in mano a un gruppo ristretto o perfino a una sola persona, che può rimandare il saldo del dovuto a proprio piacimento senza nemmeno sentirsi in dovere di avvisare se non è il creditore a chiedere notizie, chiedere notizie, chiedere notizie, a scapito del propro tempo e della propria serenità. Pagheremo quando potremo.

Ogni tanto mi diverto a immaginare che cosa succederebbe se, a contratto firmato e magari diverse settimane dopo l’assegnazione del lavoro, a una richiesta di informazioni sulla consegna di una traduzione rispondessi «Cosa vuole che le dica, consegnerò quando potrò. Ora non è possibile». Potrei strappare un sorriso incredulo oppure ottenere una reazione sdegnata, vedermi agitare davanti agli occhi lo spettro della rescissione del contratto e negare il compenso pattuito. Insomma è probabile che mi ritroverei senza i soldi. Vale a dire, il medesimo risultato che ottengo adesso lavorando con diligenza e rispettando gli impegni: infatti sono passati quattro mesi da che ho fatto la mia parte, e mi ritrovo senza i soldi, e non so quando li avrò.

(qui la seconda parte)

Antonio Bagnoli (Pendragon Edizioni): “Quei pochi editori che sfruttano fanno più notizia di tutte quelle centinaia che offrono la loro struttura come luogo di formazione”

Scritto da Redazione on . Postato in Lavoro, News

Bibliocartina ieri ha interpellato Antonio Bagnoli, amministratore unico e direttore editoriale di Pendragon Edizioni, in merito a un suo intervento su Facebook sul ruolo degli stagisti in una casa editrice, nel quale l’editore comunicava la volontà di non avvalersi più delle convenzioni accademiche per tirocinio, a causa di un “movimento d’opinione che vede tutti coloro che accettano “lavoratori” non pagati come strozzini pronti ad arricchirsi sulle spalle delle competenze ed energie dei giovani in cerca di occupazione”. 

Abbiamo rivolto al patron di Pendragon alcune domande cui Bagnoli oggi risponde, riportiamo qui sotto l’intervista integrale:

Domanda: Perché ha messo la parola “lavoratori” tra virgolette, nel suo commento, riferendosi agli stagisti?

Risposta: L’ho fatto per amore di precisione: credo che gli stagisti siano infatti delle persone che stanno completando il loro percorso formativo osservando, testando e verificando direttamente come avviene il lavoro. Per questo mi pare giusto usare il virgolettato.

D: Perché tanto livore, evidente nelle sue parole, nei confronti degli stagisti, fino al punto di decidere di non collaborare più con le istituzioni accademiche per accogliere tirocinanti in redazione?

R: Mi spiace che si sia visto del livore, evidentemente mi sono espresso male (era piuttosto una battuta: mai pensato di scrivere libri con gli errori!). La scelta – momentanea – di non accogliere più stagisti (scelta condivisa da editori concittadini del calibro del Mulino, Zanichelli ecc.) è dovuta a una serie di fattori: spazio, opportunità ecc. ecc. e, non ultimo, l’atteggiamento di cui parleremo nella prossima domanda.

D: Quali sono, secondo lei, le ragioni per cui “circola un movimento d’opinione” che vede “gli editori come gentaglia che sfrutta il lavoro altrui?

R: Gli editori, come tutti gli operatori economici che operano in campo culturale, sono in difficoltà economiche. Tra questi ci saranno senz’altro personaggi che arrivano  a sfruttare il lavoro di finti stagisti. Credo, permettetemi di dirlo, si tratta davvero di una minoranza. Evidentemente però fanno più notizia loro di tutte quelle centinaia di colleghi che offrono la loro struttura e la loro professionalità come luogo di formazione. E quindi, su internet come sulla stampa, si nota una giusta levata di scudi contro questa modalità, che è invece stata l’unica che ha permesso a tanti giovani di “saggiare” sul campo la loro capacità.

D: Quale può essere, secondo lei, la giusta soluzione al problema del lavoro nel settore editoriale? Non le sembra, a maggior ragione per le considerazioni che fa sulla scarsa preparazione dei tirocinanti a fronte della presunzione che lei lamenta, che ci sia nel settore editoriale una eccessiva sproporzione tra numero di stagisti e tirocinanti e numero di reali professionisti? E non crede che una delle condizioni necessarie per crescere come professionisti, in qualunque mestiere, sia poter svolgere il proprio lavoro in condizioni di serenità e di dignità, che non sono, tipicamente, quelle di uno stagista medio italiano?

R: Questa domanda mi spiega perché il mio post ha suscitato il vostro interesse: evidentemente sono ignorante su come avvengono molte cose al di fuori del mio orticello. Infatti la mia conoscenza poggia su basi diverse. Nella mia realtà non ho mai avuto più di due stagisti per volta, e la durata media del loro impegno è stata di tre mesi. Posso garantirle che questo tempo, nel nostro settore, non basta nemmeno a capire i rudimenti del mestiere, mestiere che si impara con anni di pratica. (Le faccio un veloce esempio: il famoso master di Eco in editoria dura due anni, di cui sei mesi di stage. Alla fine del percorso di studi – estremamente specializzato – i ragazzi hanno i rudimenti del mestiere). Pensare che gli stagisti sostituiscano la forza lavoro di una casa editrice è sinceramente assurdo: lei si fiderebbe di far correggere delle bozze di un libro (magari importante) a chi non l’ha mai fatto? O far fare l’editing di un romanzo a un giovane alle prime armi? Per questo scrivevo su Facebook che accogliere uno stagista è un costo per una casa editrice: il lavoro che svolgerà, dovrà sempre essere ricontrollato da un professionista finito. Mi trovo totalmente in accordo con lei sull’ultima domanda: per crescere occorre serenità e dignità. Evidentemente non so – davvero – quali siano le condizioni di uno stagista medio italiano. Quelli con cui sono entrato in contatto – a parte l’ovvio desiderio di trovare una collocazione lavorativa al più presto – non mi sono parsi in condizioni così disagiate.

D: Non crede dunque che in Italia gli stagisti andrebbero meglio retribuiti, come avviene nella maggior parte dei paesi europei, in modo da potersi formare sul campo in condizioni di serenità e di dignità?

R: Qui ho bisogno di capire meglio la sua domanda: io non credo che per le aziende lo stage debba sostituire il lavoro. Quindi le formule di “stage pagato” sono delle storture che coprono una sorta di sfruttamento. Credo che le opzioni siano due: o sono io che insegno qualcosa (come nel caso dello stage), e allora di pagamento non ha senso parlare. Oppure  sono io che utilizzo il lavoro di una persona, e quindi la pago. Quanto la persona debba essere pagata è discorso diverso: libera contrattazione? Contratti collettivi? Non so, non sono un giuslavorista. Ma di fondo la separazione mi pare necessaria: “stage pagato” è una contraddizione in termini (che, personalmente, non ho mai usato).

D: Concludendo: sappiamo tutti che l’editoria è in crisi in questo paese. Non crede che sia anche perché il lavoro editoriale in Italia si basa sullo scarso riconoscimento del valore delle persone che lavorano, prima ancora che delle figure professionali che lo popolano?

R: Purtroppo no. Non credo che se gli editor, i redattori, i commerciali e tutte le figure tecniche che lavorano nella filiera editoriale avessero maggiori riconoscimenti (sia economici che professionali) il settore funzionerebbe meglio. La verità è che in questo paese la lettura non è incentivata in nessun modo, come invece avviene all’estero; e quindi si comprano meno libri, e quindi c’è crisi… Vorrei fare un’ultima precisazione, importante. Nel mondo editoriale esistono decine di diverse mansioni: rappresentante, magazziniere, editor, traduttore, redattore, addetto stampa, commerciale ecc. ecc. È chiaro che per ognuna di queste il percorso formativo e le opportunità sono diverse. Per alcune di queste, uno stage non ha nessun senso; per altre non basterebbe di un anno. Credo sia una distinzione di cui bisognerebbe tenere conto.

 


FNAC, la mobilitazione dei dipendenti questa sera arriva a Roma

Scritto da Redazione on . Postato in Lavoro, News

La protesta dei lavoratori FNAC Italia, di cui abbiamo parlato nei giorni scorsi, continua e arriva oggi a Roma a Piazza del Popolo, alle 21.30. Allo stesso modo che a Milano, la mobilitazione segue dunque il calendario della Vogue Fashion Night out, evento cittadino legato al mondo della moda. Lo ricordano infatti gli stessi dipendenti FNAC nel comunicato di mobilitazione che hanno scritto: “la scorsa settimana a Milano in occasione della Vogue Fashion’s Night Out, i dipendenti di Fnac Italia – a rischio chiusura – hanno manifestato in via Montenapoleone di fronte a Gucci, marchio di punta del Gruppo PPR, di cui Fnac fa parte”. Oggi la manifestazione è prevista a Roma, mentre il 18 settembre sarà a Napoli, come aveva comunicato a Bibliocartina nei giorni scorsi anche Giuseppe, un dipendente FNAC che abbiamo intervistato. A Roma il gruppo FNAC possiede un punto vendita situato nel Centro Commerciale “Porta di Roma”, che impiega circa 50 dipendenti. A Napoli, invece, il punto vendita si trova nel popoloso quartiere del Vomero.

I lavoratori FNAC Italia, che hanno ottenuto già numerose espressioni di solidarietà da clienti e amici, in particolare attraverso la loro attiva pagina Facebook, chiedono all’azienda un pronunciamento chiaro e tempestivo sulla situazione del marchio e dell’azienda nella penisola. Protestano contro il fatto che, a fronte di dichiarazioni del gennaio scorso in cui il management del gruppo sosteneva che non ci fossero più le condizioni per investire in Italia per FNAC, nei nove mesi successivi nessuno si sia preoccupato di comunicare con i dipendenti e di metterli in condizione di conoscere il proprio destino in FNAC. A questo proposito, Bibliocartina ha interpellato due giorni fa la Responsabile dell’Ufficio Stampa internazionale FNAC Gaëlle Toussaint la quale ha fatto riferimento a una possibile dichiarazione dei vertici prevista la prossima settimana.

Come ragiona un aspirante scrittore in cerca di editore? Intervista ad Aldo Spataro, autore del romanzo horror “Hotel Patria”

Scritto da Redazione on . Postato in News

Qualche giorno fa Bibliocartina è stata contattata da Aldo Spataro, che ci ha invitato a leggere il suo romanzo horror a puntate Hotel Patria, pubblicato, con una scelta senz’altro originale, sottoforma di blog e già raggiunto da un numero cospicuo di web-lettori, più di 3000 secondo l’autore del blog. Il giovane Spataro, palermitano, ha deciso di rispondere alle nostre domande e considerazioni sul suo testo, e di sottoporsi anche al giudizio dei lettori di questo articolo. Non mancano infatti, nelle risposte dell’autore, considerazioni degne di essere approfondite, criticate, o in ogni caso trasformate in dialogo. Indirizzate pure le vostre domande e i vostri commenti rivolti ad Aldo Spataro nello spazio dei commenti di seguito. 

Domanda: Quanti anni hai e da quanti anni scrivi?

Risposta: Ho 25 anni, compiuti a maggio e scrivo credo da quando ho imparato a muovere la penna. La mia prima storiella l’ho scritta a 7-8 anni, era un thriller ambientato nella casa di campagna…

D: Perché hai scelto di scrivere una storia horror?

R: In realtà ho scritto di tutto negli ultimi anni, ma l’horror è un genere che credo vada rivalutato, non mi riferisco all’horror pieno di zombie o vampiri, ma a quello originario folto di mistero suspence e atmosfera tra il surreale e l’immaginario.

D: Chi sono i tuoi principali punti di riferimento da un punto di vista letterario, coloro a cui ti ispiri nello scrivere?

R: Il mio mito iniziale, il primo libro in assoluto è stato “La casa degli spiriti” di Isabel Allende; segue a ruota la magica scrittura fantasiosa, vibrante e tagliente di Zafón, che in fondo non fa che scrivere horror travestiti da romanzi, e al terzo posto nel podio la coinvolgente e unica JK Rowling.

D: Chi sono i tuoi autori preferiti, come lettore?

R: Mito in assoluto, insuperabile, amato e molto spesso citato William Shakespeare, non credo esistono altri uomini al mondo che hanno saputo fare di un sentimento, immateriale come l’amore, un qualcosa che quasi si può toccare.

D: Quanti libri leggi in un anno?

R: Da piccolo circa 20 all’anno, ora tra lavoro e studio di meno, ma un libro sul comodino non manca mai, e anche se mi ritiro tardissimo, l’ultima cosa che faccio prima di spegnere la luce è leggere una paginetta.

D: Che strumenti utilizzi per leggere? Compri tutti i tuoi libri, vai in biblioteca, li chiedi in prestito, li rubi agli amici… Leggi anche eBook? Con quale dispositivo?

R: Principalmente mi perdo nelle librerie finchè non vengo rapito da una copertina con una trama avvincente che mi affascina, alcune volte li prendo in prestito dagli amici o spio i titoli su internet.

D: Da dove è nato il tuo amore per la scrittura?

R: Da mia madre, appassionata della scrittura da sempre, mi ha infuso il piacere di comporre delle storie e creare realtà parallele. Quel piacere ora è diventato una necessità.

D: Come mai hai scelto di usare un blog per pubblicare la tua opera, invece che un altro strumento? Per esempio le piattaforme di autopubblicazione, che ti permettono di creare il tuo ebook e di venderlo fin da subito? Hai ottenuto finora, come dici tu stesso, più di 3000 lettori della tua opera sul sito. Non credi che autopubblicando un ebook riusciresti a guadagnare qualcosa?

R: Principalmente lo scopo non è guadagnare, ma entrare a contatto con i lettori. Se avessi scelto lo strumento dell’ebook mi sarei dovuto immediatamente imporre nel panorama letterario da sconosciuto come qualcuno che pretende. Chi sono io per costringere gli altri a spendere anche solo 5 euro? Come fanno a darmi credito se prima non gli mostro chi sono? La ratio del blog è proprio questa: creare e condividere la mia scrittura con gli amici e con il tempo con tutti coloro che vorranno dedicarmi 5 minuti del proprio tempo. E forse, un giorno, quando la fiducia dei lettori avrà raggiunto un grande attaccamento, arriverà il libro. È un percorso di crescita, come per un bambino.

D: Sul tuo blog c’è scritto che sei “in cerca di editore”. Hai già avuto contatti con editori, hai pensato di procurarteli in qualche modo?

R: Ho scritto un romanzo e l’ho mandato a quasi 30 case editrici, parla di Palermo e dei miei amici, una storia intensa, ma ho ricevuto solo proposte contrattuali a pagamento, purtroppo non ho trovato chi fosse interessato a credere in un neoscrittore, e darmi la possibilità di saltare dal blog alla libreria. 

D: Veniamo ora più da vicino alla tua storia. L’abbiamo letta, come da tua gentile richiesta, e l’abbiamo trovata sicuramente inconclusa, non fosse altro che perché è una storia pubblicata a puntate. Riassumendo per i lettori, la storia è quella di un giovane emigrato al Nord che dopo tanti anni torna a vivere nella sua città natale, Palermo, ma dopo essersi insediato in un antico appartamento insieme al fratello, inizia a fare conoscenza con personaggi inquietanti e a vivere esperienze orrende, raccontate con minuzia di particolari. Abbiamo apprezzato l’accuratezza delle tue descrizioni horror. Le scene che descrivi sono decisamente inquietanti o spaventose. Nell’assieme, tuttavia, la sensazione è che l’autore non sappia ancora che direzione prenderà la vicenda. Il fatto che sia pubblicata a puntate implica che non hai ancora un’idea dello svolgimento intero del romanzo, o è solo una scelta “promozionale”?

R: La scelta delle puntate nasce dalla televisione: Lost, CSI, American Horror Story, Alias, sono tutti telefilm che mi hanno a lungo appassionato ma ogni volta che si arrivava alla fine della puntata mi lasciavano sul divano con la voglia disperata di saltare una settimana e arrivare al prossimo episodio. Credo che la sensazione di incompiuto sia ciò che volevo comunicare, perchè a chi legge arriva l’immagine di un qualcosa che si può sviluppare ma che non è prevedibile. Se invece il lettore alla fine di ogni puntata si aspettasse già il passo successivo, non cliccherebbe di nuovo sul link del blog. Quindi la frammentarietà giusta crea attesa e voglia di proseguire. 

D: I luoghi che tu rappresenti in chiave horror, l’Hotel Patria o la trattoria Stella ad esempio, sono luoghi effettivamente esistenti o esistiti a Palermo. Come mai hai scelto di trasporli in questa chiave narrativa?

R: Il genere di romanzo che funziona meglio è il romanzo storico, perché cala nella storia reale concreta e riscontrabile elementi che sarebbero potuti esistere o che forse non esisteranno mai. L’Hotel Patria c’è ed è davanti ai nostri occhi per chi lo vuole visitare, ma chi sa cosa c’è stato in passato? Così, è come se il racconto immaginario colmasse quella realtà sconosciuta, riempiendola di colore e fascino.

D: Il testo del romanzo che hai pubblicato sul blog è arricchito di numerose fotografie e illustrazioni, tra cui alcune che rappresentano i sopraccitati luoghi palermitani, che abbiamo trovato avere una certa forza evocativa, ci sembra che diano al testo una forza maggiore, forse anche perché è un testo non ancora in grado, a nostro parere, di reggersi sulle sue gambe da solo. Certo è inusuale che un testo di narrativa sia accompagnato da un uso così ricco delle immagini. Che cosa significa invece per te, questa commistione?

R: L’immagine accompagna la lettura. da la giusta cornice al lettore, non voglio ricreare la scena completa nella mente di chi legge ma voglio indurlo sulla giusta via. La lettura è un percorso personale e unico, quando si legge ci si immagina le cose sulla base della propria esperienza, ma l’immagine aiuta la propria fantasia ad accelerare il processo. Così la storia si completa, si arricchisce e si evolve. Tu non sai come finirà, leggi, guardi le immagini, fantastichi su ciò che vedi, ma la precarietà del tutto ti rende vorace del resto che verrà.

D: Da un punto di vista prettamente linguistico, non abbiamo potuto fare a meno di notare che nonostante la discreta ricercatezza linguistica e terminologica del tuo scritto, l’uso dell’italiano è stentato in numerosi passaggi, che contengono refusi o veri e propri errori grammaticali. Sono errori che forse potrebbe permettersi di fare un grande autore che scrive di corsa sapendo che i suoi pezzi saranno poi rivisti da schiere di redattori successivi, ma non un giovane esordiente che vuole convincere lettori e imprenditori del suo valore. Come mai tanti errori grammaticali? Hai pensato all’eventualità di assumere un redattore privatamente, affinché possa pulire il tuo testo da un punto di vista redazionale prima di presentarlo agli editori?

R: Ehm devo ammettere una cosa: raramente rileggo ciò che scrivo, perché quando scrivo mi immergo totalmente, una sorta di catarsi, quindi digito velocemente senza rendermi conto degli errori di battitura o di coniugazioni sbagliate. Nessuno è perfetto, spesso gli amici mi segnalano gli errori e addirittura non ricordo nemmeno di aver scritto determinate cose, finito il momento della produzione è come se non facesse più parte di me al punto da dimenticare ciò che ho scritto.  Mi basterebbe trovare la pazienza di riguardare il tutto per sanare in pochi minuti i refusi. 

D: Che valore credi che abbia in generale, in un’opera, la correttezza della lingua?

R: Fondamentale, per questo cerco sempre di usare un linguaggio che definisco impropriamente: aggettivato.

D: Abbiamo anche notato che esiste già una versione in inglese del tuo testo, pubblicata sul tuo stesso blog: chi è l’autore della traduzione? Come mai la scelta di tradurlo anche in inglese?

R: L’ho tradotta io, e lì di sicuro, ci saranno errori. L’ho tradotta per farla leggere a chi mi vuole visitare da fuori, a qualche italo americano espatriato che vuole ricongiungersi per un attimo con la propria terra.

D: Per finire: dacci un’idea della tua vita di scrittore fra 10 anni. Come sarà?

R: Il Sogno sarebbe diventare come Carofiglio: importante professionista, con una vita lavorativa, familiare, sociale intensa che coniuga al contempo la passione per la scrittura con l’occhio sempre attento alla propria terra d’origine, patria di mille ispirazioni.

Sarah Sajetti, direttrice della collana eBook di libri lesbici QL2, di Robin Edizioni: “Le donne lesbiche desiderano storie e personaggi in cui potersi rispecchiare, con gli eBook potranno leggerle senza preoccuparsi delle discriminazioni”

Scritto da Redazione on . Postato in News

Nelle scorse settimane la casa editrice indipendente romana Robin Edizioni ha comunicato la nascita della nuova collana “di editoria lesbica” QL2, che sarà diretta da Sarah Sajetti, giornalista e autrice per la stessa Robin Edizioni del giallo “Volevo solo un biglietto del tram“. Bibliocartina ha intervistato la direttrice della neonata collana per capire i perché di questa scelta.

“L’idea è stata mia”, spiega Sajetti. “Da lettrice, prima ancora che come autrice, sentivo il bisogno di una letteratura nella quale potermi identificare più da vicino, nella quale poter ritrovare anche tematiche riguardanti la sessualità femminile e in particolare l’amore e l’erotismo tra donne. In più, con questa nuova collana ci proponiamo di offrire alle scrittrici che trattano storie in cui sono protagoniste donne lesbiche, quella porta che ci si augurerebbe di trovare aperta presso qualunque casa editrice, e invece quasi sempre è sbarrata ai racconti di donne omosessuali. Sto parlando dell’Italia, in questo caso, dove sono pochissime le case editrici e le librerie che si occupano di questo target letterario: posso ricordare Il dito e la luna di Milano, o la libreria Igor di Bologna e pochissime altre. L’omosessualità in generale è poco presente nei libri, una nicchia vera e propria. Quando poi si parla di amore fra donne”, aggiunge Sajetti, “la nicchia si restringe ulteriormente”.

Perché la scelta del libro digitale? “Da una parte, per il successo crescente che questa modalità editoriale sta avendo e avrà in futuro, visti i suoi costi ridotti rispetto al libro cartaceo, che per una casa editrice piccola e indipendente come Robin Edizioni possono fare molto la differenza. Dall’altra, perché l’omosessualità in Italia è ancora pesantemente stigmatizzata”, risponde l’autrice. “Le donne, specie nei piccoli centri, fanno enorme fatica ad andare in libreria e chiedere un libro a carattere lesbico. L’eBook, pur essendo facile pubblicizzarlo su internet e quindi trovarlo tramite una ricerca in rete, permette un acquisto anonimo via internet, e una lettura anonima tramite eReader. Questo per molte donne è un motivo di serenità maggiore, e mi sembrava giusto poterlo avvalorare.”

La collana QL2, “che si legge Quelle 2”, come specifica la direttrice, “non è una collana di libri dove l’amore o in generale l’incontro lesbico la fanno necessariamente da padroni. Potranno essere libri gialli, come per esempio è il mio “Volevo solo un biglietto del tram”, o di fantascienza, o noir, o di viaggio o di qualunque altro genere in cui però poter ritrovare, per una volta, non sempre il bello che si innamora della bella o viceversa, ma magari donne che si incontrano, magari si piacciono, magari si amano, comunque vivono le loro storie, che finiscano bene o che finiscano male, esattamente come avviene nella vita. Donne comunque, nelle quali ci si possa identificare in quanto lesbiche, perché quello di cui abbiamo bisogno è un punto di vista sulla realtà nel quale immedesimarci, nel quale poterci rispecchiare perché sentiamo che somiglia al nostro. Essere lesbica cambia la tua percezione del mondo nell’assieme, non soltanto in merito alla sessualità. Stiamo parlando di una diversità, di una differenza che investe l’intero modo di vivere la vita, per ragioni proprie e anche per come viene accolta da chi la vive dall’esterno. Ed è una differenza che, a mio parere, non chiede di essere ‘integrata’ nel sistema di valori attuale, perché il prezzo da pagare per l’integrazione è l’annullamento della propria identità specifica. Chiede invece di essere inclusa, mantenendo tutte le proprie specificità”.

Includere dunque, parlando di letteratura, la letteratura lesbica nel novero della letteratura in quanto tale, ma anche distinguerla per la sua specificità, “rendendo così la strada anche un po’ più facile a quelle autrici che scrivono di questa visione del mondo, e che in Italia si vedono costantemente rifiutare dai grandi editori”, ripete di nuovo Sajetti. “In altri paesi gli autori omosessuali, uomini e donne, sono molto più numerosi. In Italia sono per lo più sconosciuti, tra le più conosciute ci sono Sandra Scoppettone, pubblicata da E/O, o Sarah Waters, pubblicata da TEA, mentre tra le scrittrici italiane ricordo Margherita Giacobino. I titoli si contano comunque sulle dita di una mano, il mercato e il pubblico dei lettori di questo tipo di libri non escono facilmente allo scoperto, per auto-tutelarsi prima di tutto. Questo porta di conseguenza le case editrici a investire molto poco in questo tipo di letteratura, tanto meno se ai costi della produzione vanno aggiunti quelli della traduzione”. Numeri attualmente, dunque, molto piccoli “per un’esigenza che invece è importante, non soltanto perché è molto sentita da tante persone, ma anche perché è molto intima, riguarda la possibilità di rispecchiarsi un po’ più intimamente in ciò che si legge e nella vita dei personaggi di cui si parla in un libro”.

Non c’è il pericolo, tuttavia – chiediamo – che questa etichetta di “editoria lesbica” possa approfondire le distanze ed escludere a priori, per esempio, una donna che non è lesbica, e che però magari potrebbe apprezzare in ogni caso di un libro in cui protagoniste sono lesbiche? Non si dovrebbe piuttosto provare a far sì che nella letteratura in generale crescesse il numero di autori e autrici, quale che sia il proprio orientamento sessuale, che scelgono degli omosessuali come protagonisti? “L’auto-referenzialità di queste storie è una scelta esplicita, così come è una scelta rivendicare uno spazio comune, letterario in questo caso, in cui le donne lesbiche possano narrare e leggere storie che le rispecchiano”, risponde Sajetti. “In qualche modo è ciò che faceva anche Richard Wright, scrivendo storie di neri per i neri, il cui punto di vista era netto e schierato. Ciò non toglie che molte donne o uomini, a prescindere dal proprio orientamento sessuale, possano leggere e apprezzare queste storie, anche se onestamente temo che non sarà così. Quello che invece mi interessa, e che mi auguro, è che tante donne possano trovare, in questo tipo di romanzi, strumenti e spunti per poter strutturare e rafforzare maggiormente la propria identità e diversità, per sentirsi più forti e più sicure di sé nel momento di confrontarsi con un mondo che ancora oggi, sebbene sia cambiato rispetto a 30 anni fa, non è certo accogliente verso le e gli omosessuali.” Lo strumento dell’ebook, in ogni caso, per la riservatezza che consente spiegata in precedenza, “potrebbe forse avvicinare anche tanti lettori eterosessuali che magari a loro volta non chiederebbero mai certi libri in una libreria; in più, il prezzo dei titoli sarà comunque modico e questo può essere un fattore invitante.”

La collana QL2 è al momento in cerca di autrici, “per il momento stiamo lavorando su due romanzi, ci proponiamo di inaugurare la collana sul mercato quando avremo almeno 4 o 5 titoli validi da pubblicare nell’arco di un anno”, spiega Sarah Sajetti. “C’è comunque timidezza”, aggiunge, “nell’inviare questo tipo di opere, specie da parte delle donne, e questo si lega molto al discorso di cui sopra: non è facile, per chi vuole scrivere di personaggi omosessuali, donne in particolare, trovare interesse tra gli editori. Per questo la nostra collana è un invito esplicito a farsi avanti, a provarsi, a sentirsi sicure. Le opere saranno comunque giudicate per il loro valore.”

E non è possibile che invece sia un uomo, a scrivere una splendida storia di lesbiche? “Dev’essere molto, ma davvero molto bravo. Perché l’immaginario erotico degli uomini sulle donne, tanto più se lesbiche è, solitamente un concentrato di banalità e fastidiosissimi luoghi comuni. Per quanto mi riguarda apprezzo molto il modo in cui lo scrittore danese Peter Høeg, autore de “Il senso di Smilla per la neve” (pubblicato da Mondadori nel 1994 nella traduzione di Bruno Berni) tratteggia il femminile. Ma lo trovo un caso molto raro”.

Per scrivere e inviare i propri romanzi alla casa editrice, l’indirizzo email è: ql2@robinedizioni.it

 

Pendragon Edizioni: “Non accettiamo più stagisti”. “Basta vedere gli editori come gentaglia che sfrutta il lavoro altrui”.

Scritto da Redazione on . Postato in Editori, Lavoro, News

Oggi su Facebook, nella pagina dell’editrice bolognese Pendragon, è apparso un annuncio pubblico da parte della stessa editrice, nel quale si dice: “rendiamo pubblico che da un anno circa non accettiamo più stage e tirocini formativi, che abbiamo sempre gestito con l’Università di Bologna, con la Scuola Superiore di Studi Umanistici e altre istituzioni di massimo prestigio.”

Anna Mioni, dalla traduzione al mestiere di agente letterario. “L’editoria attuale soffre di pigrizia; vincerà chi saprà essere flessibile e andare incontro alle nuove sfide digitali”.

Scritto da Redazione on . Postato in News

Alla ricerca di approfondimenti e nuovi punti di vista sul mercato del libro e i suoi mestieri, oggi Bibliocartina.it intervista Anna Mioni, protagonista del mondo letterario italiano da quasi 15 anni, nota traduttrice letteraria segnalata due volte (2008 e 2009) al prestigioso Premio Monselice per la traduzione, e da qualche mese anche titolare dell’agenzia letteraria internazionale AC²Agency.

 Cominciamo traendo spunto da un articolo di qualche giorno fa. Il quotidiano Repubblica ha recentemente pubblicato un’intervista a Jonathan Safran Foer in cui l’autore, criticando una deriva patriottica in atto secondo lui negli USA “che somiglia alla xenofobia”, fa riferimento anche alle traduzioni dei libri, che in America costituiscono (sono le cifre fornite da Foer stesso) circa il 3% dei libri pubblicati, a fronte di una percentuale di libri tradotti in Europa che andrebbe dal 30 al 45%. Secondo Foer questo significa che gli Stati Uniti stanno rinunciando al “dialogo col mondo”. Qual è, in merito, la tua opinione di traduttrice letteraria dall’inglese e di agente letterario internazionale?

Proprio l’anno scorso ho avuto modo di recarmi negli Stati Uniti con una borsa di studio. Ho incontrato vari editor, alcuni dei quali si occupano di collane di testi in traduzione, e ho sentito discorsi simili a quelli di Safran Foer. Pare che i lettori americani non siano interessati ad altri mondi che non siano il loro, e fatichino ad accostarsi a testi ambientati in contesti che non gli sono famigliari: non gli interessa nemmeno conoscerli, a meno che non si tratti di esotismi oleografici che confermano i loro stereotipi. Quindi, gli editori che vogliono fare editoria di ricerca traducendo da altre lingue spesso sono costretti ad appoggiarsi a finanziamenti universitari o a donazioni. È più facile che si pubblichi un autore straniero che ha vinto un premio o è campione di incassi, ma non è affatto scontato. Spesso persino gli scrittori inglesi faticano a diffondere i propri testi in America. Ma può darsi che questo stato di cose non duri a lungo: il predominio economico e culturale degli Stati Uniti cede il passo rispetto a quello dell’Asia; bisogna vedere se quest’ultima saprà proporre un modello forte anche dal punto di vista culturale, che soppianti il colonialismo americano subìto dal resto del mondo nel dopoguerra.

Non è possibile, dunque, che la realtà per quanto riguarda l’Europa sia ben più prosaica, e che tanti libri tradotti che vengono dagli Stati Uniti siano spesso selezionati secondo criteri puramente commerciali piuttosto che di effettivo interesse letterario, e spesso sull’onda del marketing letterario invece che di tendenze culturali indipendenti?

Per quanto riguarda il mercato italiano, spesso si compra e si fa tradurre ciò che è americano a scatola chiusa, per pura esterofilia, e per la presunzione che una storia possa vendere meglio e risultare più appetibile per il solo fatto che è straniera. Si arriva al paradosso, nella narrativa di genere, di far firmare con pseudonimi anglicizzanti scrittori che in realtà sono italianissimi. C’è una certa pigrizia di fondo della filiera editoriale, per cui quello che non passa tra le sue maglie rimane escluso dal processo di selezione, senza che necessariamente sia peggiore. Bisognerebbe ritrovare un po’ di spirito critico, e soprattutto leggere i libri prima di proporli al pubblico, invece di affidarsi solo al tam tam degli addetti ai lavori.

Quali credi che siano in generale le regole sottostanti al mercato della narrativa estera in Italia? Credi per esempio che copra generi poco usuali per gli scrittori italiani, o sono altri i motivi per cui in Italia si tende a dare molto peso alla narrativa estera?

Intanto voglio far rilevare che negli ultimi anni è molto cresciuta l’importanza della narrativa italiana, a livelli che fino a dieci anni fa erano impensabili; però secondo me dipende semplicemente dal fatto che pubblicare e promuovere uno scrittore italiano per gli editori ha dei costi molto più contenuti, e purtroppo non è dovuto a motivi più nobili (altre riflessioni interessanti sul turn-over degli esordienti si trovano per esempio nel pezzo di Ida Bozzi recentemente pubblicato sull’inserto La Lettura del Corriere della Sera). Fino a una decina d’anni fa, invece, la narrativa straniera predominava su tutto, per una combinazione di provincialismo, di sudditanza culturale, e forse anche per l’eccessiva litigiosità delle varie conventicole delle lettere nazionali.

Non credo ci siano regole sottostanti al mercato della narrativa estera in Italia, o meglio, sono le stesse che valgono per tutto il mondo editoriale moderno: ci sono i piccoli editori che fanno un lavoro di scouting secondo i propri gusti e i propri ideali, mentre gli editori commerciali sono più attenti a fiutare le tendenze globali per cercare di cavalcarle. Spesso e volentieri si importano acriticamente i successi esteri, convinti che debbano per forza replicare il loro successo da noi in patria, cosa non assolutamente scontata, date le differenze culturali di fondo che per fortuna ci sono ancora.

Ritieni che il ‘marketing di ritorno’ di cui opere tradotte possono godere in Italia abbia un peso nella scelta di acquisizione di un titolo? Sempre più, fra l’altro, i tempi per le traduzioni nelle case editrici si accorciano proprio per esigenze relative al calendario d’uscita, è il caso per esempio dei romanzi di Ken Follett che vengono fatti uscire in Italia in contemporanea con l’estero, o degli stessi romanzi della saga di Twilight o di altri, tradotti da squadre di traduttori, con tutto il rischio che ciò comporta in termini di stile, per accorciare i tempi. Usufruire di una sorta di campagna di marketing internazionale comune, risparmiando quindi fatica e risorse per una più mirata in Italia, secondo te è una scelta felice per gli editori italiani?

Non so nemmeno se è una scelta. Credo che ormai il mercato globalizzato contempli solo una possibile scelta, starne dentro o starne fuori. Per gli editori sarebbe un suicidio commerciale non approfittare del traino di grossi eventi promozionali (film, tournée, lanci internazionali) legati a un libro, e quindi si adeguano al sistema ormai consolidato in quasi tutto il mondo. Purtroppo questo implica, come sottolinei giustamente, il forzato ricorso a metodi di lavoro che non permettono di dedicare a un testo le dovute attenzioni in fase di traduzione e revisione. Si spera che gli editori ne comprendano l’importanza e si ricredano.

Che opinione hai, in generale, del marketing del libro? Marino Buzzi da noi intervistato qualche giorno fa ha espresso un’opinione molto critica a riguardo.

Ho scritto da poco un articolo molto dettagliato su Agorà, il blog di Scuola Twain dove avanzo anche delle proposte di soluzione per la crisi del mercato editoriale, oltre a tentare di identificarne alcune delle cause. Inutile dire che la mia analisi coincide in molti punti con quella di Buzzi.

Recentemente sei diventata un agente letterario internazionale. Puoi spiegarci brevemente in cosa consiste questo mestiere e le ragioni della tua scelta?

L’agente letterario rappresenta gli interessi degli autori presso gli editori, sia dal punto di vista contrattuale (cercando di stipulare il contratto più vantaggioso possibile e occupandosi degli aspetti amministrativi del rapporto) che da quello promozionale (cercando una casa editrice per l’autore, in Italia e all’estero). Ci sono agenti che lavorano esclusivamente a piazzare autori italiani in Italia, e altri come me che inoltre rappresentano in Italia agenzie e clienti esteri, e i propri autori all’estero, autonomamente o con l’aiuto di altri co-agenti. È una professione molto recente che in Italia non è ancora regolamentata; fino a poco tempo fa le agenzie erano poche e lavoravano in modo invisibile ai non addetti ai lavori.

È un’idea nata quando nel 2006 e 2007 ho lavorato come editor interna nella casa editrice padovana Alet, occupandomi anche dell’ufficio diritti. Ho seguito da vicino la parte gestionale dei diritti del libro e i colloqui con le agenzie straniere alle fiere italiane ed estere. Nel farlo ho notato che il meccanismo consueto di rapporto tra agenzie letterarie ed editori si poteva migliorare in vari punti; ma allora aprire un’agenzia per lavorare in modo diverso dalle agenzie tradizionali non sarebbe stato possibile, perché a quei tempi la maggior parte del lavoro si svolgeva su carta e aveva costi per me insostenibili. Ora che i manoscritti si scambiano solo via e-mail, è stato possibile far partire il progetto AC² Literary Agency e provare a mettere nel lavoro di agente anche tutte le esperienze acquisite come traduttrice e redattrice interna, oltre alla mia idea di letteratura e di mercato editoriale virtuoso. Inoltre, in un periodo di cambiamento come quello attuale, la transizione verso l’editoria elettronica è fonte continua di nuovi stimoli e rappresenta una sfida per chi vuole essere in grado di rispondere immediatamente a tutti i nuovi bisogni che questo nuovo mercato creerà per gli autori.

Pochi giorni fa, Antonio Tombolini fondatore della piattaforma di pubblicazione di ebook Simplicissimus Book Farm ha pubblicato sul suo blog una serie di considerazioni sui cambiamenti in corso nell’editoria italiana, data piuttosto per spacciata dall’editore nella sua forma tradizionale. Il cambiamento, la novità, a quanto sembra risiedono nella forma del libro elettronico e nell’affermazione che sta sperimentando in Italia, a fronte di un crollo del mercato librario tradizionale. Fra le altre cose, Tombolini sembra elogiare indirettamente la tua scelta di aprire un’agenzia letteraria, sostenendo che sia un ottimo momento per questo tipo di attività, purché non ci si attacchi alle vecchie abitudini ma si possiedano capacità intuitive e dimestichezza con i numeri. Che cosa ne pensi?

L’articolo di Antonio Tombolini di Simplicissimus Book Farm mi conferma alcune intuizioni di lungo corso che fa piacere ritrovare nel discorso di uno dei più grossi esperti di editoria elettronica in Italia. Lo scenario sta cambiando, l’editoria tradizionale non sarà più la stessa e chi non è pronto ad affrontare il suo nuovo assetto in modo flessibile e moderno non riuscirà più a restare sul mercato. In compenso, per chi è agile e duttile si prospettano nuovi scenari molto interessanti. Credo che nel giro di pochi anni il panorama editoriale italiano sarà cambiato enormemente. Il successo di vendita degli ebook quest’estate ne è la prova.