A Torino, il mondo del libro va incontro alla sfida: fare Salone, non più Salotto. Pensando ai lettori.
Oggi al Lingotto inizia il Salone del Libro di Torino. È l’edizione numero 30, ma è anche la numero 0, l’edizione della rinascita dopo la spaccatura dell’anno scorso che ha portato l’AIE, l’Associazione Italiana Editori, a fuoriuscire dalla Fondazione che controlla l’evento torinese.
L’Associazione Italiana Editori, nei mesi scorsi, ha costituito la Fabbrica del libro Spa e ha organizzato una propria fiera, a Milano-Rho, intitolata Tempo di Libri. La nuova fiera dell’AIE ha debuttato a fine aprile sotto la direzione artistico/contenutistica della scrittrice Chiara Valerio. Quella di Torino è diretta dallo scrittore Nicola La Gioia, che nei mesi scorsi si è impegnato molto, insieme alla squadra che ha costruito e guidato, per imprimere il senso del cambiamento, della nuova epifania, della cultura a tutto tondo capace di valorizzare le arti, di entusiasmare. Lo svincolo da qualunque rappresentanza istituzionale ha lasciato forse le mani un po’ più libere allo scrittore pugliese rispetto alla sua collega Valerio. Il Salone del Libro – che stando ai dati ufficiali sembrerebbe avere già staccato più biglietti rispetto a Tempo di Libri, ancora prima dell’inizio – non sarà quello dei dati ufficiali né delle statistiche sulla lettura, e questo concede anche il vantaggio competitivo di essersi già lasciati alle spalle il momento deprimente in cui il mondo editoriale fa i conti con la caduta verticale dei lettori, per potersi concentrare sul lavoro, sul proprio mondo, sui libri, sulla passione che ogni professionista o aspirante tale del settore nutre per ciò che fa.
Un vantaggio competitivo che può trasformarsi anche in un rischio. Perché paradossalmente, l’entusiasmo del lavoratore dell’editoria rappresenta sì il suo motore principale ma anche il suo vizio. L’hype che si è creato ed è cresciuto esponenzialmente, nei giorni scorsi, attorno al Salone fra persone del mondo editoriale (quel circuito multimediale di email, commenti, tweet e messaggi Whatsapp, di ‘ti trovo lì?’ ‘sì, ci vediamo lì’) mette a nudo la principale debolezza del settore: la sua autoreferenzialità. Il rischio, per usare un facile gioco di parole, che il Salone, più che Salone, venga vissuto come un Salotto. E quindi, per dirla in parole povere, che non venda, o venda poco, e soprattutto che non alimenti virtuosamente le vendite degli editori in futuro.
Ma poiché sulla carta, l’impegno di #SalTo17 è stato profondo affinché fossero i lettori, reali o potenziali, i protagonisti di questo evento, affinché non sia stato invano ci sembra utile, da parte nostra, ricordare a chi esporrà, interverrà, si metterà in mostra, che il legame più profondo, l’unico legame profittevole nel mondo dei libri, l’unico a cui vale la pena di dedicare studi e ricerche è quello fra lettore e libro. In Italia i non-lettori aumentano vertiginosamente e lo sguardo pedagogico/paternalista con cui molti editori, o veri o presunti esperti del mondo editoriale continuano ostinatamente a guardare al fenomeno tradisce la mancata disponibilità a riprendere in considerazione l’unica cosa che conta: soddisfare i lettori. Nel breve, medio e lungo periodo.
Per questo, l’augurio che possiamo fare al Salone del libro di Torino 2017, a chi lo dirige e a chi vi partecipa, è di ricordarsi di soddisfare il lettore.
L’unico modo per soddisfare un lettore è guardare il mondo dal suo punto di vista. Per questo vi proponiamo questi pochi punti di orientamento dello sguardo.
1) Il lettore legge il libro perché ha interesse a leggere quel libro. Non legge perché l’autore è famoso, bello, sulla bocca di tutti. Il suo autore spesso è anonimo, non ha viso, non ha neanche nome, o è morto centinaia di anni fa. La fama dell’autore può essere la molla per comprare, ma non è quella per leggere. E se il lettore compra un libro, ma lo molla o non lo legge perché è brutto, il lettore non è più un lettore.
2) Se un lettore compra un libro lo fa per se stesso. Non è per farsi vedere in giro con quel libro in mano. Forse questo era vero negli anni ’60 e ’70, forse in Italia con il solito ritardo anche negli anni ’90. Oggi clamorosamente non è più vero, a meno che non siate gente del libro in giro per il Salone o iperconnessa ad altra gente del libro. Rircordatevi che voi non siete il lettore. Il lettore, oggi, come chiunque altro, per farsi vedere in giro con una cosa in mano, compra l’iPhone. Al limite una custodia brutta.
3) Se un lettore compra un libro è per spendere bene i suoi soldi. Se il lettore ha speso male i suoi soldi per un libro brutto, il lettore li spenderà una seconda volta con molta più riluttanza. O li spenderà in qualcos’altro.
4) Se il lettore compra un libro perché ha visto parlare l’autore in TV e gli è sembrato interessante, ma poi ha letto il libro e il libro non gli è piaciuto, il lettore non leggerà più, né quell’autore, né con molta probabilità altri autori visti in TV.
5) Se un lettore legge un libro è perché cerca una verità e non una presa in giro. Se il lettore si sente prese in giro da un libro, si sentirà preso in giro da tutto il mondo di quel libro: l’autore, la collana, la casa editrice, il logo, la libreria in cui l’ha comprato eccetera. La sua memoria, visiva e narrativa, farà riaffiorare quel sentimento.
6) Se un lettore legge libri è per amore. Ma se l’amore è deluso, come ben sa chi legge libri, diventa odio o indifferenza. E un lettore che odia si rivolge altrove; un lettore indifferente non legge più.
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