Milano, Rete redattori precari “In Mondadori ed RCS più del 50% di contratti atipici”. Le nostre domande a Re.Re.Pre sul precariato

Scritto da Redazione on . Postato in Lavoro, News, Penna e spada

La Rete Redattori Precari, un gruppo autorganizzato di lavoratori dell’editoria milanese, ha pubblicato questa mattina sui suoi profili social un manifesto in cui si afferma che circa il 55% dei redattori presso le case editrici Mondadori (Mondadori Libri, Sperling, Piemme) e circa il 50% dei redattori presso il gruppo RCS (Rizzoli, Bompiani, Adelphi) lavora con “contratti atipici”. La stessa Re.Re.Pre riconosce tuttavia che i numeri forniti, che sarebbero aggiornati al luglio 2012, sono “da considerarsi assolutamente “precari”” anch’essi, “in quanto non sono disponibili cifre ufficiali”. Si tratta, dice Re.Re.Pre., di dati preliminari all’incontro previsto a breve con l’assessore alla cultura del comune di Milano Stefano Boeri.  Tanto Re.Re.Pre. quanto la casa editrice milanese Topipittori avevano infatti, subito dopo la chiusura della festa del libro Bookcity Milano la scorsa settimana, indirizzato a Boeri una lettera in cui si mettevano in evidenza rispettivamente le “vergognose condizioni” di lavoro dei redattori nell’editoria milanese, e la scarsissima attenzione di solito riservata all’editoria per ragazzi da parte degli addetti ai lavori in campo culturale. Boeri, intervistato dal giornalista Antonio Prudenzano per il quotidiano online Affari Italiani, ha dato dopo pochi giorni la sua disponibilità a un incontro con i redattori, oltre che con le case editrici per ragazzi, per affrontare la discussione, per molti irrimandabile, sui tanti “scuri” del mercato editoriale (milanese ma non solo). 

Prima che Boeri proponesse un incontro pubblico per ascoltare le istanze di Re.Re.Pre, Bibliocartina aveva inviato una lunga ed articolata intervista alla Rete dei redattori precari, allo scopo di provare a fare informazione su che cosa vuol dire davvero “precariato” nel mondo editoriale, dato che spesso si confonde, ad esempio, il precariato con il lavoro freelance in quanto tale. Non abbiamo purtroppo ottenuto risposta alle nostre domande da parte da Re.re.pre., ritenendole tuttavia utili a provare a farsi un’idea su alcuni nodi cruciali della questione ‘precariato’ nell’editoria, le riportiamo di seguito, girandole ai nostri lettori, i quali magari avranno modo di rispondere parzialmente ad alcune, e alla stessa Re.Re.Pre se sarà disponibile a rispondere in un momento successivo.

Avete scritto una lettera all’assessore alla cultura Stefano Boeri, il quale lodava il successo di Bookcity e in particolare definiva l’editoria “uno degli orgogli di Milano”, ricordando all’assessore le condizioni di lavoro in cui versano i redattori che mantengono in vita il mondo editoriale. Potreste dare una rapida fotografia del fenomeno del precariato nell’editoria? Che percentuali, mole di lavoro, quante persone interessa all’incirca? 

Che mansioni svolge un redattore all’interno di una casa editrice e in quali condizioni si può definire, a vostro parere, “precaria” la condizione di lavoro di un redattore all’interno di una casa editrice?

C’è differenza, e quale, tra precariato, lavoro indipendente e lavoro sfruttato? Potreste tracciare una rapida fotografia del settore in base a queste coordinate?

Quanto è costitutivo, e/o quanto invece fenomeno collaterale, il precariato e lo sfruttamento lavorativo all’interno del sistema editoriale italiano a vostro parere? Si tratta di un fenomeno sempre esistito, e se no, quando ha iniziato a sorgere?

Quali sono le ragioni per cui spesso i redattori precari non riescono a ribellarsi e a “dire di no” ma continuano per anni a sottostare a condizioni che sono per loro motivo di sofferenza?

In che modo una “rete di redattori precari” può modificare l’acquiescenza generalizzata nei confronti di condizioni di lavoro svantaggiose? Quali sono le vostre idee e pratiche cruciali?

Ci sono esempi di case editrici che si relazionano in modo differente alla dignità del lavoro del redattore? C’è da qualche parte una tendenza inversa, verso l’adozione di pratiche virtuose di rispetto e valorizzazione del lavoro editoriale?

Perché così raramente vengono fatti i nomi delle case editrici che utilizzano il lavoro precario? Quali forme, più creative, potreste individuare come redattori per denunciare gli editori che a vostro parere adottano pratiche scorrette senza incappare nelle severe leggi sulla diffamazione?

Qualche tempo fa il responsabile della casa editrice bolognese Pendragon Edizioni sostenne, intervistato da Bibliocartina, che non c’è alcuna correlazione fra le condizioni di lavoro all’interno delle redazioni e la crisi di vendite del mercato editoriale, che un mercato del lavoro più virtuoso nell’editoria non garantirebbe in nessun modo agli editori maggiori vendite e guadagni. Che cosa ne pensate?

(aggiornamento: Re.re.Pre ha risposto negli scorsi giorni alle domande poste, trovate l’intervista completa qui e qui).

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