I redattori precari di Re.re.pre.: “Cari editori, a voi interessa abbattere i costi, ma così abbattete anche la qualità”

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Prosegue l’intervista a Re.re.Pre, la rete dei redattori precari. La prima parte, pubblicata questa mattina, si trova qui.

D: In che modo una “rete di redattori precari” può modificare l’acquiescenza generalizzata nei confronti di condizioni di lavoro svantaggiose? Quali sono le vostre idee e pratiche cruciali?

R: Quello che facciamo è innanzitutto, appunto, informare, creare consapevolezza sul fatto che lavorare nell’editoria non significa entrare in nessun mondo dorato e che le condizioni di lavoro sono complicate e difficili.
Cerchiamo di diffondere informazioni in modo capillare, ad esempio sulle varie condizioni contrattuali; cerchiamo di rompere la solitudine della disinformazione, che spesso porta a commettere gravi ingenuità quando ci si relaziona con gli editori. Re.re.pre. non è un sindacato dunque non istituisce vertenze e non si basa su un principio di rappresentatività. Siamo gruppi di lavoratori autorganizzati che s’impegnano su base del tutto volontaria. Spesso non abbiamo dunque i mezzi per agire in prima persona a nome dei lavoratori, ma possiamo indirizzare chi ne ha bisogno presso i giusti interlocutori, e già questo è fondamentale, perché spesso si è soli perché non si sa a chi rivolgersi, e viceversa. Proviamo dunque a spezzare questo circuito.

D: Ci sono esempi di case editrici che si relazionano in modo differente alla dignità del lavoro del redattore? C’è da qualche parte una tendenza inversa, verso l’adozione di pratiche virtuose di rispetto e valorizzazione del lavoro editoriale?

R: Qualche tempo fa lanciammo in rete un annuncio, provocatorio se vogliamo, ma interessante secondo noi: “Cercasi case editrici virtuose”, stilando un breve elenco delle caratteristiche dell’editore virtuoso: prima di tutto non essere un editore a pagamento per gli autori, poi garantire trattamenti economici equi ai collaboratori esterni, con scadenze di pagamento ragionevoli, ritmi umani; attivare stage effettivi che garantiscano una vera formazione sul campo, e non avvalersi di finti co.co.pro o di finte Partite IVA. Beh, magari saremo anche stati noi poco efficaci nel divulgarlo, l’annuncio, fatto sta che non ci ha risposto nessuna casa editrice, ma non solo, non c’è stato neanche nessuno che si sia scandalizzato, che si sia sentito punto sul vivo, che ci abbia detto “come vi permettete di insinuare che…”. Chi è nel torto, sa di esserlo, molto probabilmente. Ma finché ce n’è, continua a mangiare da quel piatto.

D: Perché così raramente vengono fatti i nomi delle case editrici che utilizzano il lavoro precario? Quali forme, più creative, potreste individuare come redattori per denunciare gli editori che a vostro parere adottano pratiche scorrette senza incappare nelle severe leggi sulla diffamazione?

R: Bella domanda, questo è uno dei nostri crucci e dilemmi più grandi. Ora come ora, chi fa i nomi rischia, si sa.  Spesso si preferisce tenersi quel poco e precario lavoro che ha, piuttosto che cercarsene uno diverso o appunto rischiare la disoccupazione. Tuttavia, dire la verità è un dovere, e anche aiutarsi di più gli uni con gli altri lo è. Re.re.pre è nata anche per questo, per denunciare e affrontare la situazione come entità collettiva, come forma di difesa delle singole persone dalle rappresaglie degli editori. Non è un caso che anche questa intervista sia stata fatta a Re.re.pre come organismo, nonostante voi stiate parlando con un essere umano individuale. Certo la contraddizione forte rimane, perché un contratto scorretto o peggio ancora imbroglione non lo possono firmare né Re.re.pre né un sindacato, ma un professionista nella sua più totale autonomia, ed è in quel momento che la capacità di non piegare la testa e di far valere i propri diritti diventa fondamentale.

 

L'assessore alla Cultura di Milano, Stefano Boeri

L’assessore alla Cultura di Milano, Stefano Boeri

D: Qualche tempo fa il responsabile della casa editrice bolognese Pendragon Edizioni sostenne, intervistato da Bibliocartina, che non c’è alcuna correlazione fra le condizioni di lavoro all’interno delle redazioni e la crisi di vendite del mercato editoriale, che un mercato del lavoro più virtuoso nell’editoria non garantirebbe in nessun modo agli editori maggiori vendite e guadagni. Che cosa ne pensate?

R: Che gli editori dovrebbero scegliere una volta per tutte se la qualità dei loro prodotti gli interessa oppure no, e se vogliono fare gli imprenditori oppure no. Certo un libro ben fatto non si fa leggere di per sé, ma un libro malfatto, e magari pure costoso, è il peggior incentivo alla lettura che si possa immaginare. Pensiamo alle edizioni dei grandi classici: la maggior parte delle edizioni sono talmente raffazzonate e malfatte, che in libreria “classico” sta diventando sinonimo di sciatto. Vi pare una scelta giusta e intelligente per il futuro della cultura?

Qualità delle opere e abbattimento dei costi sono l’antinomia per eccellenza, per le ragioni di cui si parlava all’inizio: perché lavorando in forma precaria, le parti fanno immensa fatica a comunicare ed armonizzarsi fra loro. Se la priorità è abbattere i costi e scaricare quelli che rimangono su altri (dagli autori che pagano per farsi pubblicare, ai collaboratori esterni che vengono pagati a 90, 120, 180 giorni o chissà quando), la conseguenza non può che essere una: fin dal suo stesso concepimento, il testo mancherà di quell’attenzione all’opera nel suo assieme, e nell’assieme di un discorso comunicativo più generale, che è ciò che rende il mestiere dell’editore davvero completo e insostituibile; se deve essere così, non è forse meglio andare a vendere altro?

D: Dateci un’idea delle vostre cifre: quanti siete?

R: Qualche decina di noi si riunisce più costantemente nel gruppo di coordinamento, e lavora soprattutto fra Milano e Bologna. Abbiamo centinaia d’iscritti alle nostre comunicazioni ma molti sono ancora solo semplici osservatori. Stiamo cercando di espandere la rete in particolare con i lavoratori di altre città più a sud, specialmente Roma, dove pure le case editrici sono numerose. Questo è dunque anche un appello ai redattori, uffici stampa, a tutti i lavoratori del libro di tutte le città a farsi avanti. Probabilmente a Milano è – relativamente – più semplice perché lì risiedono le grandissime case editrici, mentre nella piccola e media editoria la solitudine e l’isolamento sono ancora maggiori.

Per finire: che cosa direte all’assessore Stefano Boeri il giorno dell’incontro?

 R: Per fortuna, l’assessore si è subito dichiarato disponibile a un incontro, quindi speriamo davvero di aver trovato un buon interlocutore che voglia indagare e risolvere un problema gravissimo, questo per il bene di tutti: di noi lavoratori, della cultura in generale, ma anche secondo noi degli editori stessi. Detto questo, non potremo esimerci dal fargli notare che se vuole fermarsi alla facciata del mondo del libro, quella che risplende facile sotto le luci dei riflettori, può anche dire di essere orgoglioso. Se vuole andare un po’ più alla sostanza, dovrebbe riconoscere che c’è anche tanto da vergognarsi del modo in cui gli editori milanesi – e non solo, ovviamente – si comportano verso coloro che con il proprio lavoro gli permettono di essere presenti in libreria, in Fiera e soprattutto fra le mani dei lettori.

 


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