Vita da precari in RCS: “Questo non è un lavoro culturale, si fanno i libri ma ciò che importa sono i numeri e i conti”

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Bibliocartina ha intervistato uno delle decine di precari che collaborano con RCS Libri: tra le prime aziende italiane (e internazionali) del comparto editoriale, RCS ha annunciato nei giorni scorsi un piano di ristrutturazione aziendale che mira a tagliare personale in ogni comparto del gruppo: dai quotidiani, ai periodici, ai poligrafici e anche al settore libri. A questa situazione difficile per l’organico regolare dell’azienda si somma la difficile vita dei precari, centinaia di persone che, come ha denunciato più volte la Rete dei redattori precari, lavorano da anni con contratti precari e che per effetto dei vincoli sui contratti a progetto imposti dalla legge Fornero sul lavoro, rischiano oggi di essere obbligate dall’azienda a forme ulteriormente precarie di collaborazione. La persona che abbiamo intervistato ci ha chiesto di rimanere del tutto anonima, spiegandoci il perché: “la mia è una storia di tanti e non vorrei che il mio nome si affiancasse a quello di Chiara Di Domenico o di Giulia Ichino, in un dibattito che ha finito per concentrarsi più sulle persone che sulla causa, la quale è collettiva e molto grave”. Il riferimento è alla nota polemica che si è scatenata nei giorni scorsi sul precariato in editoria, e sulla quale torneremo più avanti nel corso dell’intervista.

Alcune note pubblicate nei giorni scorsi dal quotidiano economico Milano Finanza dicono che il comparto librario di RCS, l’azienda per cui lavori e che sta affrontando in questi giorni un pesante piano di ristrutturazione aziendale, non sarà risparmiato dai tagli; nella divisione Libri circa 80-100 persone rischiano, secondo le stime, di perdere il lavoro. Che clima si respira nei vostri uffici in questi giorni? Che iniziative stanno intraprendendo i lavoratori di fronte a questa prospettiva, e come la state vivendo voi collaboratori precari?

Il clima è naturalmente pessimo, ma per ora più che altro si sta tutti in guardia. Forse perché non si sa ancora come verrà toccata la divisione libri, della quale finora si è parlato relativamente poco.

Che conseguenze avrà il piano di ristrutturazione per la forza lavoro attualmente precaria di RCS Libri? Anche a voi come in Mondadori stanno offrendo collaborazioni a Partita IVA? Come state reagendo?

Non lo sappiamo ancora, le grandi manovre pare arriveranno “dopo le elezioni”. Ma i primi segnali si vedono eccome, si contano già diversi contratti non rinnovati, dopo anni di lavoro continuativo e “interno” all’azienda, quindi figure di coordinamento, che tenevano rapporti con gli autori, con i grafici, i traduttori, per esempio.  

Lavori nell’azienda con un contratto a progetto da molti anni. Come è stata motivata, di volta in volta, questa precarietà permanente? Perché non ti è stato ancora offerto un contratto a tempo indeterminato? Come è stato possibile, da un punto di vista legale, mantenerti con un contratto a progetto per così tanti anni?

La motivazione è sempre la stessa, modulata in base alle contingenze: la portata eccezionale di un evento come l’assunzione. Quindi prima c’era un mercato piccolo e poco redditizio, quello dei libri, poi c’erano persone assunte in altre divisioni da ricollocare nella Libri per la flessione vissuta dai loro comparti, poi c’era la crisi, ora c’è la crisi nerissima, rispetto alla quale ci si sente dire che “anche un contratto a progetto non è affatto scontato”. Legalmente direi che il rinnovo è stato consentito dalla diversa denominazione dei “progetti”. Che poi sono i singoli libri, cioè il core business dell’azienda, la sua ragion d’essere, il che rende paradossale la nostra atipicità.

In questi giorni il tema del precariato in editoria è rimbalzato su tantissimi mezzi di comunicazione a causa dell’intervento di una precaria dell’editoria che ha accusato la figlia del senatore Ichino di essere stata assunta da Mondadori a soli 23 anni perché “figlia di”. Che idea ti sei fatto/adi questa polemica? Credi che possa giovare in qualche modo alla causa dei precari dell’editoria, e come?

Credo che abbia preso una piega molto triste, che però rispecchia una tensione e un’invidia sociale che io sinceramente vivo in prima persona tutti i giorni. In questo senso, bene che se ne parli. E precisiamo: non serve essere figli di per avere condizioni lavorative migliori (evitiamo di dire privilegiate, che suona abbastanza ridicolo visti i ritmi di lavoro e gli stipendi medi degli editoriali): basta anche solo avere dieci anni di più ed essere entrati in un mercato del lavoro diverso. C’entra poco anche il merito, categoria spesso fuorviante e utilizzata in modo ricattatorio per giustificare la mancata regolarizzazione delle persone. O sei eccezionale oppure noi non ti assumiamo. Per contro però ti tocca accettare senza battere ciglio che la persona che lavora con te, che coordini magari tu, abbia tutele di ferro e una professionalità minore. 

In che misura, secondo te, i precari che lavorano in ambiti culturali sono corresponsabili della loro situazione? Di che tipo è, se c’è, il miraggio che porta ad accettare per anni situazioni di lavoro così evidentemente poco dignitose?

Credo ci sia un grosso fraintendimento proprio riguardo al genere di lavoro. Questo non è un lavoro “culturale”: è vero che si fanno libri e che la parte ideativa e creativa è importante, ma al centro restano i conti e i numeri. Il mercato, insomma. Le forme di eccessiva dedizione e attaccamento al lavoro, motivate da una confusione tra quello che si vorrebbe essere e quello che si fa al lavoro, sono una grande risorsa per gli uffici del personale.

Una maggiore solidarietà tra colleghi di lavoro potrebbe, a tuo parere, cambiare la situazione? Ci sono forme di solidarietà nel tuo ambiente di lavoro, e di che tipo? Quali credi che siano gli ostacoli allo sviluppo di un maggiore sentimento solidale?

Non c’è alcuna solidarietà, specie tra dipendenti e precari. Noi restiamo le risorse invisibili, e più si va avanti con questi annunci di esuberi (leggi tagli di dipendenti) più mi convinco che i nostri contratti saranno falciati nella quasi indifferenza generale. Saranno tagli invisibili di personale invisibile.

Per finire: che prospettive vedi per il lavoro editoriale nel prossimo futuro? Che differenze ci sono con ciò che immaginavi prima di entrare in questo ambiente?

Credo che, al di là della crisi e dell’avvento del digitale, resterà sempre la necessità di lavorare sui contenuti, più o meno legati alla forma libro, al canale libreria, o alle case editrici così come sono organizzate adesso. È su questo lavoro (con l’autore, sul testo) che ho puntato e continuerò a puntare nella mia formazione professionale, a prescindere dal contratto che ho.

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