Speciale Lettura: che cosa significa davvero “promuoverla” in questo paese? Parte I: fotografia, senza Photoshop

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Che cosa significa “promozione della lettura”? Se c’è una cosa che andrebbe appresa dai periodi prolungati di crisi, è riconsiderare il significato delle parole che utilizziamo nella vita quotidiana, spesso con scarsa cognizione di causa. L’associazione Forum del Libro ha pubblicato, nei giorni scorsi, un lungo documento di bilancio e riflessione sulle campagne e sull’impegno di “Promozione della lettura”, intitolato “Rapporto sulla promozione della lettura in Italia“. Il rapporto, commissionato dal Dipartimento per l’Informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri, comincia da alcune notazioni statistiche sullo stato della lettura in Italia, per poi passare in rassegna le principali iniziative prese a sostegno della lettura in questo Paese e i risultati che hanno ottenuto. L’impressione che si ricava dalle premesse è, per chi ritiene che la lettura dovrebbe essere più diffusa (quindi per una ristretta minoranza), desolante senza meno. In Italia, afferma il Rapporto, la lettura non è mai stata un fenomeno di maggioranza. Solo il 45,6% degli italiani legge almeno un libro l’anno, ma di questi la maggior parte ne legge al massimo tre; il 18,4% degli italiani legge tra 4 e 11 libri l’anno, e il 6,3% appena degli italiani legge almeno 12 libri l’anno. Percentuali superiori rispetto a quelle degli anni ’60, certo ma che, specie negli ultimi 20 anni, non sono cresciute – secondo il rapporto – di pari passo con la crescita dell’alfabetizzazione e della scolarizzazione. Quest’ultima, del resto, è tuttora diffusa solo in una parte della popolazione italiana. Il rapporto ricorda opportunamente che il 45,2% degli italiani fra i 25 e i 64 anni d’età è fermo alla licenza media e che tuttavia, la percentuale di chi legge libri è molto bassa anche nelle fasce più scolarizzate della popolazione. Nel tempo libero (escludendo dunque le strette necessità professionali) non legge neanche un libro l’anno ben il 18,9% dei laureati, il 41,6% dei diplomati, il 31% dei dirigenti, imprenditori e professionisti, il 33,7% dei quadri direttivi. E mentre, nei primi anni del nuovo millennio, il numero di laureati cresceva del 36%, quello di lettori è salito solo del 9% dal 2000 a oggi.

In realtà, già qualche mese fa Bibliocartina segnalava in un articolo come le cifre relative alle percentuali dei lettori andrebbero considerate in modo meno omogeneo e tenendo maggiormente presente le diversità generazionali e non solo: da questo punto di vista è significativa negli ultimi 20 anni la crescita dei lettori in alcune fasce d’età, per esempio tra i 55 e i 59 anni nel 1995 leggeva il 28,7% degli italiani, nel 2010 il 49,2% (una crescita che sfiora il 20%), e nel 2011 il 45,6%. Gli italiani lettori tra i 45 e i 54 anni erano il 37,3% nel 1995 e il 48,2% nel 2011, l’11% in più.

Il dato del 2012 parla fra l’altro di una lievissima ripresa della percentuale dei lettori rispetto al 2011, anno in cui la percentuale di lettori nel tempo libero era scesa di circa 700mila unità rispetto al 2010 (l’anno che ha fatto registrare la più alta percentuale di lettori in assoluto da sempre: il 46,8%). Non stiamo dunque assistendo a una morìa di lettori, nel nostro paese. Siamo, piuttosto, un paese che ha imparato a leggere e scrivere solo negli ultimi decenni e che ha conquistato il diritto all’istruzione di massa appena qualche decina d’anni fa. Impietosamente, la fotografia dei lettori italiani dice ciò che dovremmo già sapere: l’Italia è un paese diviso e polarizzato, in cui tanto è per pochi, e pochissimo o niente è per tanti, sia dal punto di vista economico, sia da quello culturale. Che cosa significa questo da un punto di vista strettamente imprenditoriale? Che l’industria del libro come oggetto d’intrattenimento e consumo si rivolge a una nicchia, per quanto consistente, della popolazione. E che quel 6,3% di italiani che legge più di 12 libri l’anno regge da solo, il 41% del mercato dei libri venduti in Italia. Un mercato che in totale fattura circa 3,3 miliardi di euro, impiegando circa 40mila persone, e 2200 case editrici. Le quali, peraltro, negli ultimi 25/30 anni devono aver fatto – molto – male i loro calcoli ed erroneamente hanno, forse, pensato che la percentuale dei lettori in Italia sarebbe cresciuta in modo lineare, e che la lettura sarebbe divenuta prima o poi un’abitudine di maggioranza. Solo così si può spiegare l’incremento del 203% nella produzione dei titoli editoriali (da 21mila circa nel 1984, a 63.800 nel 2011), a fronte di una riduzione forte delle tirature medie (da 6.306 a 3.343 copie per titolo). Non convince la spiegazione data nel rapporto: “gli editori hanno provato ad aumentare il numero delle novità in uscita allo scopo di stimolare la domanda e “smuovere” un mercato piuttosto stagnante”. Gli editori, più credibilmente, hanno pensato che la produzione potesse crescere, perché la domanda sarebbe cresciuta. Sbagliando. La lettura d’intrattenimento tuttora coinvolge solo una fetta degli italiani a fronte di altri tipi di divertimenti e passatempi che in breve tempo hanno raggiunto la maggior parte della popolazione. Per continuare con il nostro autoscatto, basti pensare che in Italia il solo mercato del gioco d’azzardo online (escludendo dunque ciò che si compra dal tabaccaio) realizza, pur presente solo da pochissimi anni, una raccolta di circa 15 miliardi di euro l’anno (al lordo delle vincite). Come dire: per ogni italiano che legge un libro prima di andare a letto, ce ne sono cinque a quell’ora che giocano a poker online. (continua)

Qui la seconda parte dello speciale.

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