Voland, la crisi e i collaboratori non pagati. Di Sora: “La mia è una lotta per non chiudere”. Ma l’editoria è un cane che si morde la coda

Scritto da Redazione on . Postato in Editori, In evidenza, In redazione, Lavoro

Un redattore sollecita su Facebook a una casa editrice un pagamento, in ritardo di 13 mesi. L’editora della casa editrice risponde, in modo inopportuno, vanificando l’opera professionale e garbata svolta fino a quel momento dal suo social media manager.

Uno stuolo di vicini di casa si affaccia sul cortile e inizia a dire la sua, in modo più o meno sguaiato. Ne esce fuori un ritratto davvero imbarazzante dello stato dell’editoria italiana, su tutti i piani. Bibliocartina ha deciso di fare chiarezza, per quanto possibile, interpellando direttamente l’editore non pagante, Daniela Di Sora di Voland Edizioni.

Di Vita è un redattore e scrittore esperto di editoria, autore di “Pazzi scatenati“, un libro di discreto successo sul mondo editoriale e sulle sue gravi e in alcuni casi folli contraddizioni (qui trovate la recensione che a suo tempo scrivemmo su Bibliocartina.it). La casa editrice insolvente, Voland Edizioni, è una piccola casa indipendente specializzata in letteratura russa e in generale dell’Est Europa, nonché editore italiano dell’autrice belga di culto Amélie Nothomb. Il libro su cui Federico Di Vita lamenta il credito per la sua attività di editing è “Guida alla Roma ribelle“.

“Sono consapevole che sia frustrante attendere un anno per vedersi retribuito un lavoro”, commenta l’editora. “E vorrei scusarmi con Federico Di Vita per i miei commenti inopportuni sul suo lavoro, nel post di Facebook (qui è possibile seguire il thread). Sono pentita di aver scritto quelle cose. Ma al tempo stesso, sentirsi accusare con tanta scioltezza a 68 anni da persone che ne hanno appena 20 o 30, dopo aver speso tutta la mia vita e le mie risorse nell’editoria, è molto triste e fa male”.

Il lavoro non vale più niente – Fa male anche lavorare gratis, però. “La situazione precipita, nel mondo editoriale. Che sia grave lo sappiamo da almeno 3 anni”, dice Di Sora. “Per il 2014 si prevede un ulteriore calo del numero dei lettori rispetto al già ridicolo numero di 43,2 italiani su 100 che leggono almeno 1 libro l’anno siamo passati al 42%”, ci informa (offrendoci così un’anteprima, non felice, dei dati sulla lettura che saranno annunciati nei prossimi giorni dall’AIE). “Negli anni di maggior fulgore, Voland fatturava circa 400mila euro. Oggi il fatturato è dimezzato. Non riusciamo a coprire le spese, l’esercizio è in rosso. Senza contare che io stessa vanto crediti nei confronti di altri anelli della filiera che non pagano il dovuto, perché sono a loro volta in difficoltà. Qui siamo tutti in difficoltà, e tutti sappiamo che è così. Quei pochi distributori non ancora inghiottiti dai giganti stanno rinegoziando le condizioni coi loro clienti perché non possono più onorarle. Ogni libreria che chiude non paga il dovuto e si limita a rendere l’invenduto. I miei collaboratori più stretti conoscono perfettamente questa situazione (Di Sora aveva anche scritto una lettera ai suoi più stretti partner qualche mese fa chiedendo esplicitamente aiuto per non chiudere, ndr). E molti di loro hanno accettato di continuare a lavorare con me e per Voland comunque, perché l’unica speranza che abbiamo è andare avanti cercando di fare in modo che questa crisi passi, che si tornino a vendere libri”.

Ciò non toglie che 13 mesi siano tanti, e che i soldi siano necessari per vivere anche per le persone che offrono le loro prestazioni. “La mia scelta è stata questa: continuare a mantenere – a orario dimezzato – le persone che avevo assunto in redazione a tempo indeterminato, e continuare a offrire per le traduzioni il prezzo che reputo dignitoso, non alto ma dignitoso, di 12 euro/cartella. Sapendo bene che se volessi, potrei rivolgermi a professionisti che chiedono la metà o meno. E io questo non voglio farlo. Non voglio ridurmi a lavorare con chi mi si offre a 1 euro a cartella”.

Quindi davvero c’è chi si offre a 1 euro/cartella. A quanto pare sì:

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“Con pochi soldi a disposizione, ho scelto di dare la precedenza ai miei collaboratori fissi e di ritardare il pagamento dei collaboratori più saltuari”. I collaboratori fissi sono due redattrici (“un tempo erano tre, per fortuna una ha trovato un lavoro migliore”) e un social media manager a P. IVA (il quale ha confermato a Bibliocartina di essere una partita IVA vera, un libero professionista con diversi clienti).

“Se a me davvero non interessasse pagare i miei collaboratori o lucrare sul lavoro che svolgono per me, avrei una soluzione molto semplice”, spiega Di Sora. “Potrei chiudere e far fallire la società. La legge mi impone una responsabilità pari al mio capitale sociale perché Voland Edizioni è una srl, e il capitale sociale ammonta a 46mila euro. Va da sé che questi soldi servirebbero a malapena a saldare i debiti con le banche. Il mio debito attuale è ben superiore alla cifra. I collaboratori non vedrebbero mai più un soldo e non avrebbero alcun modo di reclamare quanto gli spetta. Io mi ostino a provare ad andare avanti, ritardando i pagamenti ma indebitandomi personalmente per arrivare a coprire tutto l’ammanco. Come ho detto anche su Facebook, sto vendendo un appartamento di proprietà per poter saldare i debiti”.

Di Sora non dà il numero preciso, ma riconosce che negli ultimi 3 anni nessun collaboratore esterno, “a cominciare dai tipografi”, passando per traduttori, grafici e revisori, è stato pagato, se non parzialmente, per il lavoro svolto. Calcolando che il numero di libri pubblicati ammonta a circa 22/24 l’anno, la maggior parte dei quali tradotti, è facile fare un calcolo approssimativo.

Lottare per non fallire significa per molti collaboratori sì lasciare aperta una speranza di vedere i propri soldi nel futuro, ma anche continuare ad alimentare una catena di lavoro non economicamente sostenibile che rischia di diventare una valanga. Tuttavia nessuno, almeno secondo quanto sostiene Di Sora, avrebbe mai neanche fatto ricorso a un avvocato per ottenere la cifra pattuita, “perché sono cifre basse, prese singolarmente, ma anche perché non otterrebbero altro effetto che farmi fallire.” Un cane che si morde la coda così, o se preferite, un labirinto senza vie d’uscita, almeno finché in Italia non si tornerà a vendere libri.

“Per ogni libro che traduciamo, il punto di pareggio lo raggiungiamo dopo aver venduto 2.000 copie circa. Negli ultimi anni la chiusura delle librerie è stata una disgrazia perché i prenotati dei libri in libreria non sono mai sufficienti a coprire i costi del lavoro. Una delle poche possibilità che vedo nel prossimo futuro per uscire dalla crisi è quella di pubblicare più italiani e meno tradotti. Il risparmio sarebbe considerevole.”

Una situazione senza via d’uscita – Come si può arrivare a questo punto? Si può davvero mandare avanti un’azienda per 3 anni confidando nella buona fede di chi lavora per noi, dovendo impegnare la propria casa per pagare i traduttori? Non sarà ostinazione un po’ sconsiderata, questa? Quali errori ha commesso l’editore, al netto della crisi, per arrivare a questa situazione? “Io non ho una formazione economica, e questo lo annovero tra i miei limiti ed errori. Ne avrei avuto bisogno. E non sempre ho speso bene i miei soldi. Acquisire i diritti di autori che speravo avrebbero avuto grande successo, e invece non hanno venduto a sufficienza come per esempio Philippe Dijan o i diritti per un’opera inedita di George Perec, sono esempi degli errori che ho commesso in quanto editore e che ovviamente hanno avuto una ricaduta economica. Altro errore sono stati i cambi di distributore repentini negli ultimi due o tre anni (da PDE, Voland è passata a Giunti e dopo poco a Messaggerie). Mi sono state fatte tante offerte e tante proposte per uscire da questa situazione, e a me personalmente sarebbero anche convenute. Ma sono proposte che non risolverebbero in alcun modo il problema dei mancati pagamenti ai miei collaboratori. Fino a che non ho iniziato ad avere grossi problemi, in concomitanza con la crisi, io pagavo con regolarità. Ho sempre fatto sapere a chi lavorava con me del momento che stavo passando. Non credevo che questa crisi sarebbe durata così tanto, e speravo di riuscire molto prima a saldare una serie di piccoli debiti. Purtroppo non ce l’ho fatta.”

Nella discussione su Facebook scatenatasi alla richiesta di pagamento mossa da Federico Di Vita c’è stato anche chi ha accusato la Di Sora di avere un’attitudine al non pagamento già da tempo. Marta Bertolini, oggi Responsabile Corporate Communications del canale satellitare Fox per l’Italia, sostiene con nettezza che Di Sora amasse non pagare già nel 1993.

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“Nel 1993 io lavoravo per le edizioni Biblioteca del Vascello come direttore di collana”, sostiene Di Sora. “Ero a mia volta stipendiata. Non sono mai stata proprietaria di quella casa editrice”. Biblioteca del Vascello chiuse nel 1999 e fu rilevata da Robin Edizioni. Voland era già attiva da qualche anno. “Il messaggio di Marta Bertolini insinua dunque il falso. Ma io non ho granché da dire a chi parla senza sapere neanche di che cosa sta parlando, in questo caso” commenta Di Sora. “Mi interessa invece chiudere il prima possibile la vicenda apertasi con il commento iniziale di Federico Di Vita. E fargli sapere che dovrei riuscire a saldare il debito con lui e con altri collaboratori entro fine ottobre.”

 

 

 

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Commenti (34)

  • Francesco Rende

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    Non ho alcun interesse pratico nella questione. Il traduttore è solo il mio secondo lavoro e finora non ho maturato alcun credito nei confronti dell’editoria. Pur tuttavia ho un’idisioncrasia spiccata per le contraddizioni logiche e mi permetto quindi di intervenire. Non lo posso fare sul post in questione dal momento che la signora Daniela Di Sora ha reso illegibili i miei numerosi commenti.

    “Ma al tempo stesso, sentirsi accusare con tanta scioltezza a 68 anni da persone che ne hanno appena 20 o 30, dopo aver speso tutta la mia vita e le mie risorse nell’editoria, è molto triste e fa male”.

    Qui siamo all’appello ad misericordiam. una nota fallacia logica, in cui si cerca di conquistare il favore del pubblico cercando di suscitare pietà e compassione, non si capisce inoltre che c’entri che la signora Di Sora ha 68 anni e chi scrive (Di Vita) ne ha 32. Evidentemente chi ha più di 60 anni entra in uno stato di semi-immunità dialettica, per cui può dire tutto e il contrario di tutto.

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  • Francesco Rende

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    “La situazione precipita, nel mondo editoriale. Che sia grave lo sappiamo da almeno 3 anni”, dice Di Sora.

    Bene. Ma nel post in questione c’è chi lamenta di pagamenti non avventi già nel 2009 e sarebbe bene rispondere anche a quello screenshot, che non potendo postare riporto integralmente: “Mi spiace di doverla smentire, ma io HO lavorato per voi, traducendo un romanzo consegnato nel 2008, (più di due anni e mezzo fa, quindi…) e retribuito, parzialmente e dopo infiniti, estenuanti, imbarazzanti solleciti, a scaglioni fra il 2009 e il 2011. Poiché non mi sono stati corrisposti gli ultimi 1000e rotti euro, nel 2012 – quasi cinque anni dopo la consegna – lei si è personalmente premurata di farmi sapere (passando bruscamente dal “tu” al “lei” e dal “siamo in reale difficoltà” a “lei ha già ricevuto anche più di quel che il suo lavoro meritava”) che quest’ultima parte di denaro non mi sarebbe stata corrisposta in quanto la mia traduzione era fatta male. Cosa che non era mai venuta fuori prima, e che avrebbe evidentemente comportato da parte mia un ulteriore lavoro sul testo – che mi ero comunque proposta di fare – e da parte vostra magari una formalizzazione del nuovo compenso pattuito. A questo punto, non posso che pensare che anche le presunte inadempienze di Federico Di Vita non siano altro che una delle sue piccole scuse per giustificare la sua politica, ovvero cercare di far tirare il collo a persone che non staranno certo a mobilitare un avvocato per 400 euro. Chi ha imparato a conoscerla a proprie spese, cara signora, ormai sa che Voland è anche questo. Milena Djokovic”

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  • Francesco Rende

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    Infine (e la chiudo qui per non dilungarmi) la signora DI Sora non ha ancora risposto alla domanda: “Perché quando commissione un lavoro, anche una certa urgenza, non avverte i redattori o i traduttori a cui assegna il lavoro che ci sono ottime probabilità che il pagamento non sia puntuale? Non le sembra una mancanza di rispetto nei confronti di chi lavora per lei?”

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    • Redazione

      |

      Salve, Francesco, dando per inteso che una nostra intervista non necessariamente deve riportare le stesse domande emerse in un thread su Facebook, vorremmo comunque farle sapere che abbiamo posto la stessa domanda alla Di Sora. Ma non abbiamo ritenuto specialmente interessante la risposta, perché sostanzialmente si lega a una speranza che ogni libro vada meglio del precedente, e che ogni stagione la crisi del libro finisca. Elementi che riteniamo poco interessanti perché già contenuti in altre parti dell’intervista.
      Un saluto,
      la redazione di Bibliocartina.it

      Rispondi

  • B.

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    Non potrei andare dal panettiere senza pagargli subito il pane e non posso chiamare l’idraulico se non ho i soldi per farlo. Non sarebbe tanto difficile da capire, ma per i lavoratori della conoscenza si fa sempre un’eccezione.

    Rispondi

  • Francesco Rende

    |

    La ringrazio per la cortese risposta. Anche questa strategia (sono sotto di più di 46.000 euro) e continuo ad accumulare debiti sperando che di punto in bianco i libri inizino a vendere come non mai, mi sembra la stessa fallacia del giocatore d’azzardo, che è sotto di 46.000 euro e continua a giocare a poker sperando nella prossima mano. Mi chiedo inoltre (e non lo chiedo a voi) ma alla signora Di Sora quanti di quei collaboratori esterni negli ultimi 3 anni che ammette di non aver pagato siano stati avvertiti dell’eventualità che non sarebbero stati pagati. La consuetudine di pagare solo gli interni e far lavorare solo gli esterni per mandare avanti la baracca è molto diffusa nell’editoria romana, e non certo dal 2008. Il perché ve lo lascio immaginare.

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  • paola

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    Mi chiedo se forse non bisognerebbe allargare un po’ il discorso, come suggerisce l’ultimo commento, sull’editoria “romana” in generale. Io per esempio vedo una contraddizione nella dichiarazione della Prof.ssa Di Sora che ammette di non avere competenze economiche e però racconta di essere stata direttore commerciale della Biblioteca del Vascello. Credo che questa vicenda stia semplicemente portando a galla delle problematiche che perdurano da molto tempo, tanto da far parte di un modus dell’editoria intorno alla capitale. Temo quindi che tutto questo rumore intorno alla Di Sora finisca per funzionare da specchietto per le allodole.

    Rispondi

    • Redazione

      |

      Salve, la ringraziamo per questo suo commento anche perché ci ha fatto notare un errore che abbiamo prontamente corretto. Non “direttore commerciale”, bensì “direttore di collana”. Abbiamo rettificato e ci scusiamo per l’errore, grazie ancora.
      la redazione di Bibliocartina

      Rispondi

      • Paola

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        Grazie a voi. Le problematiche però rimangono. Anche senza la contraddizione, sono convinta che bisogni guardare più a fondo. E che bisognerebbe capire a chi giova il sistema veramente. Come mai ci sono dei traduttori che accettano di venir pagati poco o niente? Il sistema degli stagisti, come viene considerato, come viene gestito? Chi lavora nell’editoria, lavora veramente per i libri, per la letteratura? O per far parte di una piccola elite? E così via.

        Rispondi

  • LaLeggivendola

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    Io ci provo a guardare la faccenda a mente fredda, a mettermi dalla parte dell’editore, la Voland mi piace pure, macheccristo, non si può neanche prentendere che la mancanza di liquidi sia la risposta all’insolvenza, specie se dipende dai propri errori. Se sei in difficoltà, ridimensioni i tuoi progetti, non si lanciano i dadi sperando che vada bene che poi non si paga.
    Tra l’altro la questione dei 20-30enni che non potrebbero permettersi di attaccare le azioni di qualcuno solo perché questo ha una certa età… evito di esprimermi, ma vorrei tanto vivere in una cultura meno gerontofila. Definizione rubata a una docente inglese.

    Rispondi

  • Bruno Osimo

    |

    Capisco il punto di vista dei creditori, ma apprezzo (e invito ad apprezzare) la differenza enorme tra il metodo del fallimento periodico (Daniela non lo dice, ma viene subito in mente Baldini-Castoldi-Dalai ecc. che lo ha già fatto almeno due volte lasciando tutti i traduttori – e non solo – in mutande) e la resistenza strenua rimettendoci di tasca propria di Daniela. La differenza che c’è tra una persona onesta in difficoltà e un serial failer con lo stomaco foderato d’amianto.

    Rispondi

  • Francesco Rende

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    Ma che Daniela ci rimetta di tasca propria ne abbiamo le prove? Quanto ci vorrà mai a vendere una casa? Una volta venduta contatterà anche i creditori di 20 anni prima? Non è che siccome sta scritto da qualche parte deve necessariamente essere vero. Il problema si risolverebbe se chi non può pagare evitasse di commissionare altri lavori, o chiedesse serenamente alla gente di lavorare gratis. Molto meglio un euro a pagina, ma reale, che 12 euro a pagina ma virtuali. Ma voi lo sapete che ci sono persone che per avere la miseria di 500 euro passano sei mesi di seguito al telefono, tutti i giorni, con redattori che fanno finta che il direttore commerciale non sia in ufficio? Avete idea dell’umiliazione che ciò comporta? Ma non vi vergognate? Il problema non è certo la signora Di Sora, il problema è che è un problema diffuso. E che ci sono case editrici che stanno a galla da 20 anni solo perché sfruttano il lavoro non pagato di stagisti, redattori e traduttori. E che preferiscono commissionare lavori da 400 euro l’uno a 100 persone diverse, in modo tale che nessuno di questi potrà mai rivalersi per vie legali. Quando la barca affonda chiudere è doveroso, non è un’opzione, e di certo non è eroico continuare a giocare alla roulette con i soldi altrui.

    Rispondi

    • Redazione

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      Francesco i nostri complimenti, lei è bravissimo col filo del rasoio; taglia ma solo fino a un certo punto, irrita ma solo fino a un certo punto. Senz’altro è una tattica studiata in anni e anni di scontri ;-) ma qui vorremmo cercare di non causare alcuna irritazione in nessuno. Se c’è qualcosa che abbiamo capito è che all’editoria manca disperatamente il buon senso. In questo spazio vorremmo provare ad alimentare un minimo di aria di buon senso evitando qualsiasi cosa suoni anche solo vagamente a insinuazione.
      Grazie per la comprensione,
      la redazione di Bibliocartina

      Rispondi

      • Voland Staff

        |

        Alcuni brevi appunti:

        – non esistono collaboratori non pagati da 20 anni. I due casi segnalati nella conversazione sono stati chiariti nelle opportune sedi con le persone coinvolte;

        – meglio 1€ pagina? Secondo noi no. Secondo i traduttori nemmeno. Il fatto che siano mancati dei pagamenti, di cui continuiamo a scusarci, è ben spiegato nell’articolo di cui sopra. Il nostro obiettivo è quello di saldare i sospesi, chiudere la vicenda, e tornare a pagare tariffe che riteniamo accettabili, senza il ritardo in cui Federico e tanti altri sono incappati;

        – Ma che Daniela ci rimetta di tasca propria ne abbiamo le prove? Quanto ci vorrà mai a vendere una casa? <- Appena vendiamo ti chiamiamo: abbiamo 20 anni di libri da inscatolare e trasportare, se vorrai venire a darci una mano sarai il benvenuto.

        Una buona giornata,
        Voland Facebook Staff

        Rispondi

  • claudio moretti

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    Non entro nella polemica che vede contrapposte due persone, Federico e Daniela, che conosco bene.
    È sicuro che il lavoro deve essere pagato e senza solleciti. Che questo non venga fatto come prassi da varie case editrici presuppone o un’intenzione criminale o reali difficoltà. Escludo la prima ipotesi, avrebbero scelto campi diversi dall’editoria. Le difficoltà reali possono essere attribuite a incapacità manageriali ma penso soprattutto ad un mercato che ha problemi a riconoscere il valore e il lavoro dei piccoli editori.
    Questi sono schiacciati fra distributori che impongono condizioni assurde, librai che non pagano e vendite sempre minori. Qui si sta parlando di editori che hanno un catalogo di valore che in altri paesi non avrebbero problemi perché l’intero mercato del libro starebbe meglio.
    Questa contrapposizione mi sembra una lotta fra poveri con Amazon che se la ride.
    Spero che le situazioni personali si risolvano ma spero ancora di più che l’editoria italiana riesca a trovare il modo di allargare il proprio mercato e ritrovare una certa indipendenza fonanziaria per non trovarmi librerie con libri solo di grandi gruppi o solo di autori italiani o di paesi che contribuiscono alle spese di traduzione.

    Rispondi

  • Marina Pugliano

    |

    Sono una traduttrice e cito, con profondo avvilimento, dall’intervista: “Per ogni libro che traduciamo, il punto di pareggio lo raggiungiamo dopo aver venduto 2.000 copie circa. Negli ultimi anni la chiusura delle librerie è stata una disgrazia perché i prenotati dei libri in libreria non sono mai sufficienti a coprire i costi del lavoro. Una delle poche possibilità che vedo nel prossimo futuro per uscire dalla crisi è quella di pubblicare più italiani e meno tradotti. Il risparmio sarebbe considerevole.” Questa è purtroppo la soluzione che già molti editori hanno adottato. È una realtà che ho personalmente denunciato nel corso di una tavola rotonda che si è tenuta nel 2012 a “Più libri, più liberi” e alla quale avevano partecipato anche alcuni editori fra cui E/O, La Nuova Frontiera e Due Punti Edizioni. In quell’occasione, gli editori avevano negato categoricamente che il calo delle traduzioni fosse dovuto alla necessità di tagliare i costi. Eppure il numero dei titoli tradotti è in calo costante, tanto quanto il fatturato dell’editoria. Com’è possibile che gli editori non vedano altra possibilità per uscire dalla crisi se non quella, appunto, di smettere di pubblicare opere in traduzione o, peggio ancora, chiedere ai traduttori e ai collaboratori di stringere i denti o addirittura lavorare gratis? A nessun editore è mai venuto in mente che sarebbe forse più sensato chiedere alle istituzioni interventi strutturali per risollevarsi da una crisi che *è* strutturale? Tagliare è necessario quando i costi sono eccessivi o superflui. E nel caso della traduzione, non lo sono (quasi) mai. In più, non occorre aver studiato economia per sapere che dalle crisi si esce affiancando ai tagli (laddove, ripeto, sono davvero necessari) politiche di investimento che in Italia mancano del tutto. Da sempre. Il Centro per il Libro e la Lettura, per esempio, che attualmente paga una cinquantina di stipendi (con i soldi dei contribuenti italiani), cosa ha fatto negli anni? A Francoforte, leggo, l’AIE racconterà per l’ennesima volta che il numero dei lettori è calato, segno che quanto è stato intrarpreso finora (tagli compresi) è servito soltanto a peggiorare la situazione. Chiedo: l’AIE, a parte stracciarsi le vesti a Francoforte, si è mai interrogata sulle cause di questo disastro? E come intende farvi fronte?
    Quanti editori, per esempio, hanno firmato la petizione con cui i traduttori di Strade chiedono l’istituzione di un fondo per la traduzione che permetta alle case editrici di fare quelle scelte coraggiose di cui l’Italia ha peraltro estremo bisogno, senza che a farne le spese siano i traduttori? Per risollevare l’editoria dalla crisi bisogna far sì che i lettori aumentino e leggano di più. Non occorre essere geni per capire che questo non avverrà mai se ai lettori vengono propinati libri scritti male (perché anche sui redattori si taglia, e non poco) e tradotti male da traduttori pagati peggio.
    La petizione, per Daniela di Sora e per chiunque fosse interessato, è qui:
    https://secure.avaaz.org/it/petition/Un_aiuto_alla_traduzione_e_un_aiuto_alle_idee/?chmQLdb

    Rispondi

  • Bruno Mazzoni

    |

    Mi spiace che diventi voyeuristica materia di Facebook un tema assai delicato che rischia di inquinare un bell’esempio di lavoro editoriale ‘indipendente’ …e per ciò faticoso, lungo, coraggioso!

    Rispondi

    • Redazione

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      Salve e grazie per il suo commento. Una delle ragioni per cui abbiamo scelto di intervistare l’editore era proprio quella: uscire dal voyeurismo socialmediatico che oltre a non chiarire sui fatti, confonde anche le idee e spesso e volentieri stimola il peggio delle persone o ne incoraggia l’intervento insensato, squilibrato, molte volte meschino.

      Rispondi

  • Pazzi Scatenati: Home Edition | insipienza

    |

    […] il come è piuttosto chiaro: il sistema Voland è spiegato candidamente dalla stessa Di Sora in questa intervista, in cui dice di aver potuto pagare solo tre persone (due redattrici e un social media manager) e […]

    Rispondi

  • Elisa

    |

    Un lavoro deve essere retribuito. Punto.

    Trovo molto grave questo atteggiamento di alcune case editrici, che emerge ciclicamente su Internet con codazzi di polemiche e alzate di scudi.

    Qui poi non stiamo parlando di problemi emersi nel corso della collaborazione, ma di una situazione a monte, a cui Voland non erano nuovi e di cui erano ben consapevoli.

    A mio parere commissionare un lavoro non sapendo quando e se si potrà pagare il compenso pattuito (che, diciamolo, non è proibitivo) sperando nel frattempo di rimanere a galla non è eroico, è mercenario. Specie se tale situazione conclamata non viene chiarita in anticipo col collaboratore. Sostenere che una persona non possa rivendicare i torti subiti fino alla raggiunta anzianità poi è paradossale, per non parlare dell’ingenuità con cui le case editrici ancora tentano di cancellare le tracce di quanto successo sui social network.

    Da lettrice, fa molto male sapere che le mie ore ricreative derivano da comportamenti del genere.

    Rispondi

  • Arianna

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    …e certo che se è triste, per la povera Signora, sentirsi chiedere a 68 anni, da parte dei suddetti 20-30enni, una pur minima spiegazione di un mancato pagamento avvenuto più di un anno prima, sapesse la Signora quant’è triste, a 20-30-40 anni, essere pure presi per il culo da persone che una casa ce l’hanno (o almeno ce l’hanno avuta), una famiglia se la potevano fare, un mezzo di trasporto potevano permetterselo, una vita potevano almeno volerla vivere, e hanno potuto essere giovani da giovani, adulti da adulti, e saranno anziani da anziani, senza chiedersi come pagare l’affitto pure ad 85 anni… Ed hanno potuto persino permettersi di fallire, senza nemmeno arrestare la produzione… Io dico, se sai già (e pure molto bene) di non aver i soldi per pagare un tuo freelance, il libro semplicemente non lo fai. Non illudi chi cerca lavoro per anni di star facendo una mezza cosa sottopagata e invece era gratis pure quella. Non si muore di pochi libri, si muore di fame e prese per il culo. Meno libri! rideranno le foreste e i chiodi degli scaffali reggeranno di più, e magari si pubblicherebbero pure meno cavolate, o si eviterebbe finalmente di assistere alle autopromozioni degli “editori di sinistra”, che pubblicano 70 titoli libri l’anno sulle rivoluzioni del passato grazie alle mani già rugose dei giovani schiavi di oggi.

    Rispondi

  • Mario Panziero

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    Quello che sfugge ai più, credo, è un semplice centralissimo problema, il famoso elefante: non si vendono abbastanza copie perché gli italiani 1) non hanno tanti soldi da spendere in libri 2) preferiscono il video 3) non leggono abbastanza da coprire i costi fissi di molte piccole case editrici. Il passaggio al digitale e agli ebook NON cambierà questa situazione perché la riduzione dei costi di produzione e dei prezzi di copertina (seppur digitale) consentirà solo ai giganti di rinforzare la posizione oligopolio.Non dovranno nemmeno fare concorrenza alle piccole case editrici, perché rimarranno gli unici a potersi permettere di stampare, raggiungendo così anche chi NON ha un ebook reader.

    Dunque, cari editori, traduttori, promoter e simili, gli “scazzi” telematici fanno sangue, ma non fanno vendite (a me non che non seguite il filone degli sdegni, allora…) e non aggrediscono l’elefante. Forse è il caso smettiate di giocare a fare Mondadori e vi mettiate d’accordo tra peones.

    Rispondi

    • Ferdinando Magellano

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      Grazie Mario Panziero,
      ci serviva proprio quest’infilata di banalità. Forse con “quello che sfugge ai più” intendeva riferirsi a quello che sfuggiva a lei fino al momento di scrivere il commento. Sono anni che il mondo dell’editoria si interroga e si confronta intorno a questi temi. Dove? Le basterà farsi un giro su questo portale o procurarsi un quaderno con i dati dell’AIE (Associazione Italiana Editori) o anche qualche libro dedicato al tema, ce n’è uno che se non mi inganno deve essere stato scritto da qualcuno legato a questa storia. Prima di pontificare si informi, è sempre meglio.

      Rispondi

  • Piccola editoria e self publishing

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    […] Di Sora in crisi economica e pertanto impossibilitata al pagamento. In una intervista pubblicata su Bibliocartina, Di Sora si appella alla crisi del settore, ai mancati pagamenti ricevuti e quindi […]

    Rispondi

  • Editori a perdere | Blog senza qualità

    |

    […] in pratica, che porta avanti la proprietaria della casa editrice, Daniela Di Sora (in un’intervista pubblicata qui; le sue risposte sul social network erano state molto sbrigative, per non dire decisamente […]

    Rispondi

  • Ivan

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    Scusate, un piccolo dettaglio (anche se con molto ritardo). In genere, la traduzione in italiano di opere straniere (io conosco con certezza il caso della letteratura rumena) è sovvenzionata dagli Istituti di Cultura dei diversi paesi. Dunque non si vede proprio perché l’editore non possa pagare.

    Rispondi

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