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Anna Mioni, dalla traduzione al mestiere di agente letterario. “L’editoria attuale soffre di pigrizia; vincerà chi saprà essere flessibile e andare incontro alle nuove sfide digitali”.

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Alla ricerca di approfondimenti e nuovi punti di vista sul mercato del libro e i suoi mestieri, oggi Bibliocartina.it intervista Anna Mioni, protagonista del mondo letterario italiano da quasi 15 anni, nota traduttrice letteraria segnalata due volte (2008 e 2009) al prestigioso Premio Monselice per la traduzione, e da qualche mese anche titolare dell’agenzia letteraria internazionale AC²Agency.

 Cominciamo traendo spunto da un articolo di qualche giorno fa. Il quotidiano Repubblica ha recentemente pubblicato un’intervista a Jonathan Safran Foer in cui l’autore, criticando una deriva patriottica in atto secondo lui negli USA “che somiglia alla xenofobia”, fa riferimento anche alle traduzioni dei libri, che in America costituiscono (sono le cifre fornite da Foer stesso) circa il 3% dei libri pubblicati, a fronte di una percentuale di libri tradotti in Europa che andrebbe dal 30 al 45%. Secondo Foer questo significa che gli Stati Uniti stanno rinunciando al “dialogo col mondo”. Qual è, in merito, la tua opinione di traduttrice letteraria dall’inglese e di agente letterario internazionale?

Proprio l’anno scorso ho avuto modo di recarmi negli Stati Uniti con una borsa di studio. Ho incontrato vari editor, alcuni dei quali si occupano di collane di testi in traduzione, e ho sentito discorsi simili a quelli di Safran Foer. Pare che i lettori americani non siano interessati ad altri mondi che non siano il loro, e fatichino ad accostarsi a testi ambientati in contesti che non gli sono famigliari: non gli interessa nemmeno conoscerli, a meno che non si tratti di esotismi oleografici che confermano i loro stereotipi. Quindi, gli editori che vogliono fare editoria di ricerca traducendo da altre lingue spesso sono costretti ad appoggiarsi a finanziamenti universitari o a donazioni. È più facile che si pubblichi un autore straniero che ha vinto un premio o è campione di incassi, ma non è affatto scontato. Spesso persino gli scrittori inglesi faticano a diffondere i propri testi in America. Ma può darsi che questo stato di cose non duri a lungo: il predominio economico e culturale degli Stati Uniti cede il passo rispetto a quello dell’Asia; bisogna vedere se quest’ultima saprà proporre un modello forte anche dal punto di vista culturale, che soppianti il colonialismo americano subìto dal resto del mondo nel dopoguerra.

Non è possibile, dunque, che la realtà per quanto riguarda l’Europa sia ben più prosaica, e che tanti libri tradotti che vengono dagli Stati Uniti siano spesso selezionati secondo criteri puramente commerciali piuttosto che di effettivo interesse letterario, e spesso sull’onda del marketing letterario invece che di tendenze culturali indipendenti?

Per quanto riguarda il mercato italiano, spesso si compra e si fa tradurre ciò che è americano a scatola chiusa, per pura esterofilia, e per la presunzione che una storia possa vendere meglio e risultare più appetibile per il solo fatto che è straniera. Si arriva al paradosso, nella narrativa di genere, di far firmare con pseudonimi anglicizzanti scrittori che in realtà sono italianissimi. C’è una certa pigrizia di fondo della filiera editoriale, per cui quello che non passa tra le sue maglie rimane escluso dal processo di selezione, senza che necessariamente sia peggiore. Bisognerebbe ritrovare un po’ di spirito critico, e soprattutto leggere i libri prima di proporli al pubblico, invece di affidarsi solo al tam tam degli addetti ai lavori.

Quali credi che siano in generale le regole sottostanti al mercato della narrativa estera in Italia? Credi per esempio che copra generi poco usuali per gli scrittori italiani, o sono altri i motivi per cui in Italia si tende a dare molto peso alla narrativa estera?

Intanto voglio far rilevare che negli ultimi anni è molto cresciuta l’importanza della narrativa italiana, a livelli che fino a dieci anni fa erano impensabili; però secondo me dipende semplicemente dal fatto che pubblicare e promuovere uno scrittore italiano per gli editori ha dei costi molto più contenuti, e purtroppo non è dovuto a motivi più nobili (altre riflessioni interessanti sul turn-over degli esordienti si trovano per esempio nel pezzo di Ida Bozzi recentemente pubblicato sull’inserto La Lettura del Corriere della Sera). Fino a una decina d’anni fa, invece, la narrativa straniera predominava su tutto, per una combinazione di provincialismo, di sudditanza culturale, e forse anche per l’eccessiva litigiosità delle varie conventicole delle lettere nazionali.

Non credo ci siano regole sottostanti al mercato della narrativa estera in Italia, o meglio, sono le stesse che valgono per tutto il mondo editoriale moderno: ci sono i piccoli editori che fanno un lavoro di scouting secondo i propri gusti e i propri ideali, mentre gli editori commerciali sono più attenti a fiutare le tendenze globali per cercare di cavalcarle. Spesso e volentieri si importano acriticamente i successi esteri, convinti che debbano per forza replicare il loro successo da noi in patria, cosa non assolutamente scontata, date le differenze culturali di fondo che per fortuna ci sono ancora.

Ritieni che il ‘marketing di ritorno’ di cui opere tradotte possono godere in Italia abbia un peso nella scelta di acquisizione di un titolo? Sempre più, fra l’altro, i tempi per le traduzioni nelle case editrici si accorciano proprio per esigenze relative al calendario d’uscita, è il caso per esempio dei romanzi di Ken Follett che vengono fatti uscire in Italia in contemporanea con l’estero, o degli stessi romanzi della saga di Twilight o di altri, tradotti da squadre di traduttori, con tutto il rischio che ciò comporta in termini di stile, per accorciare i tempi. Usufruire di una sorta di campagna di marketing internazionale comune, risparmiando quindi fatica e risorse per una più mirata in Italia, secondo te è una scelta felice per gli editori italiani?

Non so nemmeno se è una scelta. Credo che ormai il mercato globalizzato contempli solo una possibile scelta, starne dentro o starne fuori. Per gli editori sarebbe un suicidio commerciale non approfittare del traino di grossi eventi promozionali (film, tournée, lanci internazionali) legati a un libro, e quindi si adeguano al sistema ormai consolidato in quasi tutto il mondo. Purtroppo questo implica, come sottolinei giustamente, il forzato ricorso a metodi di lavoro che non permettono di dedicare a un testo le dovute attenzioni in fase di traduzione e revisione. Si spera che gli editori ne comprendano l’importanza e si ricredano.

Che opinione hai, in generale, del marketing del libro? Marino Buzzi da noi intervistato qualche giorno fa ha espresso un’opinione molto critica a riguardo.

Ho scritto da poco un articolo molto dettagliato su Agorà, il blog di Scuola Twain dove avanzo anche delle proposte di soluzione per la crisi del mercato editoriale, oltre a tentare di identificarne alcune delle cause. Inutile dire che la mia analisi coincide in molti punti con quella di Buzzi.

Recentemente sei diventata un agente letterario internazionale. Puoi spiegarci brevemente in cosa consiste questo mestiere e le ragioni della tua scelta?

L’agente letterario rappresenta gli interessi degli autori presso gli editori, sia dal punto di vista contrattuale (cercando di stipulare il contratto più vantaggioso possibile e occupandosi degli aspetti amministrativi del rapporto) che da quello promozionale (cercando una casa editrice per l’autore, in Italia e all’estero). Ci sono agenti che lavorano esclusivamente a piazzare autori italiani in Italia, e altri come me che inoltre rappresentano in Italia agenzie e clienti esteri, e i propri autori all’estero, autonomamente o con l’aiuto di altri co-agenti. È una professione molto recente che in Italia non è ancora regolamentata; fino a poco tempo fa le agenzie erano poche e lavoravano in modo invisibile ai non addetti ai lavori.

È un’idea nata quando nel 2006 e 2007 ho lavorato come editor interna nella casa editrice padovana Alet, occupandomi anche dell’ufficio diritti. Ho seguito da vicino la parte gestionale dei diritti del libro e i colloqui con le agenzie straniere alle fiere italiane ed estere. Nel farlo ho notato che il meccanismo consueto di rapporto tra agenzie letterarie ed editori si poteva migliorare in vari punti; ma allora aprire un’agenzia per lavorare in modo diverso dalle agenzie tradizionali non sarebbe stato possibile, perché a quei tempi la maggior parte del lavoro si svolgeva su carta e aveva costi per me insostenibili. Ora che i manoscritti si scambiano solo via e-mail, è stato possibile far partire il progetto AC² Literary Agency e provare a mettere nel lavoro di agente anche tutte le esperienze acquisite come traduttrice e redattrice interna, oltre alla mia idea di letteratura e di mercato editoriale virtuoso. Inoltre, in un periodo di cambiamento come quello attuale, la transizione verso l’editoria elettronica è fonte continua di nuovi stimoli e rappresenta una sfida per chi vuole essere in grado di rispondere immediatamente a tutti i nuovi bisogni che questo nuovo mercato creerà per gli autori.

Pochi giorni fa, Antonio Tombolini fondatore della piattaforma di pubblicazione di ebook Simplicissimus Book Farm ha pubblicato sul suo blog una serie di considerazioni sui cambiamenti in corso nell’editoria italiana, data piuttosto per spacciata dall’editore nella sua forma tradizionale. Il cambiamento, la novità, a quanto sembra risiedono nella forma del libro elettronico e nell’affermazione che sta sperimentando in Italia, a fronte di un crollo del mercato librario tradizionale. Fra le altre cose, Tombolini sembra elogiare indirettamente la tua scelta di aprire un’agenzia letteraria, sostenendo che sia un ottimo momento per questo tipo di attività, purché non ci si attacchi alle vecchie abitudini ma si possiedano capacità intuitive e dimestichezza con i numeri. Che cosa ne pensi?

L’articolo di Antonio Tombolini di Simplicissimus Book Farm mi conferma alcune intuizioni di lungo corso che fa piacere ritrovare nel discorso di uno dei più grossi esperti di editoria elettronica in Italia. Lo scenario sta cambiando, l’editoria tradizionale non sarà più la stessa e chi non è pronto ad affrontare il suo nuovo assetto in modo flessibile e moderno non riuscirà più a restare sul mercato. In compenso, per chi è agile e duttile si prospettano nuovi scenari molto interessanti. Credo che nel giro di pochi anni il panorama editoriale italiano sarà cambiato enormemente. Il successo di vendita degli ebook quest’estate ne è la prova.

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Intervista a Marino Buzzi: il marketing dei libri, il peggior nemico della qualità. Sulla crisi del settore “oggi paghiamo accordi commerciali sbagliati di qualche tempo fa, tra case editrici e librerie”

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Dopo l’intervista alla Libreria Croci di Varese di ieri, oggi intervistiamo Marino Buzzi, libraio, blogger e autore letterario, un punto di riferimento per tanti librai, editori o semplici appassionati del mondo dei libri su internet, dove il suo blog Cronache dalla libreria raccoglie ogni giorno riflessioni dolci-amare o semplici racconti della vita di un giovane libraio.

36 anni, emiliano, Marino Buzzi è anche autore di due libri, Confessioni di un ragazzo perbene edito da Luciana Tufani Editrice e per Ugo Mursia Editore il titolo Un altro bestseller e siamo rovinati, “diario semiserio di un libraio”. In questa intervista gli abbiamo dato del tu, visto che siamo più o meno coetanei. 

Bibliocartina (D): Sei un giovane libraio che il suo mestiere lo fa tutti i giorni, però lo racconti anche, nel tuo libro e nel tuo blog: quando e perché hai scelto di diventare libraio, e come definiresti oggi la tua scelta? Come mai hai deciso di raccontarla utilizzando proprio quei mezzi?

Marino Buzzi (R): Quello di diventare libraio era un sogno che avevo da bambino, per molti anni ho lavorato come cuoco e, allo stesso tempo, studiato per potermi laureare. Dopo la laurea ho avuto la grande fortuna di trovare impiego in una libreria come magazziniere. L’ho fatto per circa due anni poi mi sono trasferito a Bologna e ho cominciato a lavorare in sala come addetto al settore saggi. Nonostante tutto quello che scrivo sul mio blog e nel libro sono felice della mia scelta, quello del libraio rimane un lavoro bellissimo anche se non so per quanto ancora la mia figura professionale esisterà. Con il passare del tempo tutte le speranze e le illusioni che avevo su questo mestiere sono state messe a dura prova così ho deciso di cominciare a raccontare la “quotidianità” di noi librai, di farlo in modo ironico e divertente, attraverso il mio blog. Alla casa editrice Mursia lo hanno letto e mi hanno proposto di fare un libro, è nato così Un altro best seller e siamo rovinati.

D: Il tuo blog è frequentato quotidianamente da altri librai indipendenti che nelle tue parole riconoscono anche i loro problemi o le loro stesse riflessioni. Che idea ti sei fatto del clima attuale tra i librai e nelle librerie italiane? Ci sono momenti, occasioni in cui potete incontrarvi anche dal vivo e scambiarvi opinioni, trucchi del mestiere, speranze o inquietudini per il futuro? Oppure siete una categoria frammentata?

R: Sul blog si incontrano tante categorie professionali, ci sono anche molti editori ed editrici (Voland, Luciana Tufani, Barbes ecc…) che lo seguono e ci sono anche moltissimi/e  lettori e lettrici  accaniti/e, è la cosa che mi dà più soddisfazione vedere che siamo tutti/e nella stessa barca che chi ama la letteratura vive, quotidianamente, le stesse problematiche che riporto sul blog. Il clima nelle librerie, così come nelle case editrici, nella distribuzione ecc., non è dei migliori. In parte per colpa della crisi economica che ha colpito – in un paese in cui si legge pochissimo – l’oggetto libro in modo piuttosto violento. Ma temo non sia solo colpa della crisi. Sono state fatte scelte estremamente sbagliate, a mio avviso, a livelli differenti della piramide libraria. Oggi stiamo pagando le scelte errate di un passato non troppo lontano. Per quanto riguarda le relazioni fra librai esistono diverse associazioni che, temo però, ormai sono diventate portavoce solo di una fetta di mercato. Poi ci sono le scuole librai che ti permettono di vivere in una specie di realtà onirica, nel senso che viene mostrata una realtà lontana anni luce da quella che poi noi librai viviamo quotidianamente.

D: A quali scelte sbagliate ti riferisci, in particolare?

R: Agli accordi commerciali fra case editrici e librerie che hanno permesso di far entrare in quantità enormi prodotti dallo scarso valore culturale, pompati in maniera quasi ridicola grazie al marketing, alle vetrine comprate, alle recensioni “tutte positive” e molto altro. Ma anche all’idea che un libraio preparato, invece che essere un valore per le librerie, è un problema a causa dei costi. Meglio fare contratti a chiamata utilizzando personale non qualificato. Avevo un’amica che lavorava per una famosa catena di librerie (che è anche casa editrice e distributore) le facevano contratti di mese in mese e l’avvertivano il giorno prima della scadenza. Oggi lavora lavorare all’estero.

D: “Quello del libraio è un mestiere che in quanto tale sta scomparendo”, ci ha detto ieri Rosa Addeo della Libreria Croci di Varese. “Oggi possono arricchirsi vendendo libri anche coloro che non ne hanno mai letto uno in vita loro”, la vendita di libri è un commercio del tutto simile a quello di qualsiasi altro prodotto, senza alcuna specificità aggiunta. Prova ne sia, delle sue parole, che colossi della vendita di libri online come Amazon smerciano qualsiasi tipo di prodotto, dalle scarpe agli stuzzicadenti. Sembra che del libraio si possa fare del tutto a meno, o che sia diventato poco più che un commesso, e non appunto un conoscitore di libri che allestisce il suo spazio, consiglia, sceglie la sua offerta, cura la sua clientela. Tu come vivi questa trasformazione in atto, condividi che sia davvero questo ciò che avviene, prima di tutto, e credi che ci sia ancora un futuro per il ‘mestiere’ del libraio?

R: Mi trovo, purtroppo, tristemente d’accordo con la collega Rosa Addeo. Ha ragione, il nostro è un mestiere che sta già scomparendo. Questo accade a causa delle stesse scelte dirigenziali sbagliate a cui accennavo prima. La verità è che il lavoro in libreria è un lavoro prettamente “umano”, il libraio o la libraia non smettono mai di essere tali. Vendere libri non è come vendere un paio di scarpe, non devi solo conoscere un prodotto, lo devi amare e devi amare ogni cosa che riguarda la cultura. Devi essere sempre pronto, conoscere la quotidianità e gli avvenimenti tenerti informato sul cinema, il teatro, la musica. Oggi molti di noi non riescono nemmeno più ad andare alle fiere del libro, ci vengono date sempre meno informazioni mentre i prodotti che vengono immessi sul mercato sono sempre di più. Pensano che basti mettere i libri in ordine di autore, sacrificando anche i classici, per vendere. Ma non è così. Il risultato è che in libreria entrano sempre più spesso persone disinteressate al libro mentre le lettrici e i lettori forti vanno su Amazon o IBS, fanno le proprie ricerche in internet e si arrangiano. Stiamo distruggendo quel po’ di amore per la letteratura che ancora esiste. La cosa più grave è che ormai “l’oggetto” libro è inteso solo come oggetto economico e non come oggetto culturale. Vendere una scatola di pennarelli o vendere un libro, ormai, è la stessa cosa. Non si da più nessun valore al libro, basti vedere quello che arriva in libreria. Molti editori non guardano più alla bellezza della storia ma alla sua vendibilità. E non importa se il libro fa pena, per vendere basta un buon marketing.

D: Se dovessi definirli in breve, quali credi che siano i tratti salienti del mestiere del libraio?

R: Preparazione, cultura, curiosità, gentilezza, umiltà e amore per il libro.

D: Parliamo per un attimo dei bestseller che hanno fatto ‘boom’ negli ultimi anni. Questo è stato l’anno delle 50 sfumature di grigio, rosso, e nero, e conseguenti parodie uscite praticamente in contemporanea con i libri. Molti librai ritengono che il successo di questa trilogia sia stato interamente pilotato dall’alto, pompato con pubblicità e varie pressioni sul marketing anche nei riguardi delle librerie. E’ pur vero, tuttavia, che il precedente boom letterario che ha fatto scalpore, quello della saga di Twilight, ha avuto una dinamica differente. I primi libri sono stati accompagnati da una promozione modesta, e l’attenzione sul fenomeno è cresciuta tramite il passaparola delle giovani lettrici in particolare, si è dovuto aspettare il terzo volume della saga perché i vampiri di Twilight fossero sulla bocca di tutti, oltre che al cinema. Inoltre la quadrilogia più appendici ha richiesto il suo tempo per essere pubblicata, mentre nel caso di 50 sfumature abbiamo 3 libri, dal titolo pressoché identico, di una supposta trilogia, che escono contemporaneamente. In base alla tua esperienza di professionista che idea ti sei fatto di questi ‘boom letterari’, quali sono le dinamiche che li motivano, e che effetti hanno complessivamente sull’universo dei lettori e dell’editoria, almeno in Italia?

R: 50 sfumature fa parte del prodotto “cotto e mangiato”; lo si stampa, si crea curiosità, si fa pubblicità, lo si butta sul mercato e poi si passa al nuovo genere. Per Twilight è andata diversamente principalmente perché le lettrici e i lettori hanno amato i personaggi e la storia (che io trovo piena di incredibili scopiazzature ma, magari, un ragazzo di 16 anni che non ha grosse letture alle sue spalle non può saperlo). L’autrice ha seguito il mito dell’eterna bellezza, hai questi personaggi belli, tormentati, eterni che si struggono d’amore. Non sono “assassini” perché non bevono il sangue umano ma quello animale  (e quindi sono molto più simili a noi umani anche se, da vegetariano, la cosa mi fa ugualmente orrore), non hanno paura delle croci, non muoiono se esposti al sole al massimo “brillano”. Insomma sono personaggi ghiotti per inguaribili romantici. Lo aveva già fatto Anne Rice con intervista col vampiro, aveva sovvertito le regole classiche che volevano i vampiri creature orribili, assetate di sangue, che morivano con un paletto conficcato nel cuore o alla luce del sole. Il povero Bram Stoker non interessa più, il suo Dracula, anche se rimane un capolavoro della letteratura, non interessa i giovani in cerca di “bellezza” e “vita eterna”.

D: Sei il Noé dell’editoria italiana, ma con la tua arca puoi salvare solo 3 cose: quali sono le tre cose che salvi?

R: I libri. I librai. I clienti.

D: Quali sono invece 3 cose dell’editoria che butteresti senza scrupolo giù dalla rupe?

R: Gli addetti al marketing. I direttori commerciali. Alcuni editori.

D: Come ultima domanda vorrei chiederti: in questo momento a Mantova c’è un importante evento in concorso che festeggia la letteratura. L’edizione di quest’anno del Festivaletteratura è senz’altro significativa, sia come reazione di un’intera città al terremoto che solo pochi mesi fa ha colpito l’Emilia e anche il mantovano, sia per far fronte alla crisi attuale dell’editoria e in generale della lettura. Per noi di Bibliocartina che (nostro malgrado, poiché non abbiamo potuto partecipare solo per cause di forza maggiore) osserviamo dal di fuori il programma, la sensazione è tuttavia quella di un evento un po’ bulimico – come d’altra parte è tradizione, a Mantova – che compensa con la quantità di offerta la scarsa qualità di riflessione e di proposta culturale attuale. Non abbiamo trovato, in cartellone, alcun evento che ci ha fatto pensare ‘imperdibile’, ma tantissimi piccoli eventi “carini” o mediamente “interessanti”. Tu che sei anche un autore letterario, che opinione ti sei fatto di eventi come questo, e come si legano secondo te alla realtà della letteratura attuale?

Credo che qualsiasi iniziativa culturale vada presa sul serio visto il preciso momento storico che stiamo vivendo. Tuttavia penso che anche molte di queste iniziative, così come molti premi letterari, si siano svuotati di significato. Oggi, purtroppo, non è la qualità del prodotto a spingere il prodotto stesso, ma il marketing.

Editoria 2012: dilagano le sfumature erotiche e i vampiri se ne tornano a letto. Tra un boom editoriale e l’altro, alla fine vinceranno i long-seller?

Scritto da Redazione on . Postato in Autori, Libri

Che fine hanno fatto i vampiri? Forse sarà per via dei 31 milioni di copie vendute dalla trilogia delle “50 sfumature” nel mondo (400mila in Italia, come riporta il quotidiano online Il Messaggero); o forse perché si avvicina il tempo delle sirene, come sostiene il quotidiano inglese The Independent; o forse, chissà, perché la crisi senza rimedio della coppia più invidiata, più amata e più pallida di inizio millennio – Robert Pattinson alias Edward Cullen il vampiro e Kirsten Stewart alias Bella Swan – sta gettando un’ombra impietosamente carnale sull’amore vampiresco, romantico, casto e procreativo per eccellenza; fatto sta che il mondo letterario di Twilight, quell’universo di licantropi e Volturi che ha permesso alla sconosciuta Stephenie Meyer di vendere, in poco meno di 4 anni, circa 100 milioni di libri nel mondo, sta neanche troppo lentamente scomparendo dalle spiagge, dalle cronache quotidiane dei mass media, dagli scaffali delle librerie. E non è affatto detto che l’uscita al cinema di Breaking Dawn Parte II risollevi la situazione, viste le promesse di boicottaggio da parte delle fan di Edward decise a punire severamente la fedifraga Kirsten. “In libreria le vendite di Twilight sono rimaste costanti, a essersi assottigliato considerevolmente è il reparto vampiri”, ha commentato a Bibliocartina.it  Marino Buzzi, libraio di catena bolognese e blogger e autore di fama. Però colpisce come nella Top 100 degli ebook più venduti sia su Amazon.it sia sulla Feltrinelli online, non ci sia traccia né di Stephenie Meyer né di altro tipo di vampiro o simili, mentre abbondano i titoli Harlequin Mondadori, insomma le sfumature delle sfumature (un dato che potrebbe suggerirci vari scenari: se Twilight in libreria continua a vendere tra i ragazzi, forse la presenza dei dispositivi di lettura e-ink fra le più giovani generazioni è più tiepida).

Insomma, è possibile che finita l’auge della coppia d’oro, oro come gli occhi di Edward Cullen e come i cachet miliardari di Kirsten prima della figuraccia, i vampiri possano tornare a dormire sonni tranquilli nelle loro tombe aspettando di tornare a colpire nel silenzio e nel buio come da sempre più gli aggrada? Com’è noto (ma non è detto), i vampiri non sono invenzione letteraria degli anni 2000. Anzi, il genere letterario vampiresco si può a ben diritto considerare uno dei più longevi della storia della letteratura; il precursore fu “Il vampiro” di John Polidori, scritto nel 1819; ma più di un secolo prima che Bella Swan vedesse la luce fu Dracula di Bram Stoker ad affermarsi come il primo e vero bestseller del genere, pubblicato in Inghilterra nel 1897 e disponibile oggi in Italia in decine e decine di edizioni e traduzioni (a onor del vero, Dracula è presente anche nella bassa classifica dei più venduti ebook di Amazon) e a più riprese rilanciato e ravvivato, nel corso del XX secolo, anche dall’immaginario cinematografico (e non solo, come si vede dall’immagine del Conte Dracula dell’anime giapponese Carletto e il principe dei mostri).

Iniziò Todd Browning negli anni ’30, dando a Dracula il volto dell’attore ungherese Bela Lugosi, e proseguirono decine di altri autori con altrettante variazioni sul tema vampiresco. Ne ricorderemo qui solo alcune: l’intrigante coppia David Bowie- Catherine Deneuve nell’opera d’esordio di Tony Scott recentemente scomparso, Miriam si sveglia a mezzanotte (1983) tratta dal romanzo The Hunger di Whitley Strieber; il Bram Stoker’s Dracula firmato Francis Ford Coppola (1992) con un Gary Oldman da brivido nella parte del conte, e infine Intervista col vampiro di Neil Jordan (1994), che facendo leva sul sex appeal dei due divi hollywoodiani  Tom Cruise e Brad Pitt diede a conoscere al grande mondo l’opera letteraria di una indiscussa maestra del genere, la scrittrice americana Anne Rice; moglie del poeta Stan Rice, è stata autrice dal 1976 al 2003 delle Vampire Chronicles, saga in dieci volumi avviata proprio da Intervista col vampiro, testo tradotto in italiano da Margherita Bignardi e pubblicato da TEA nel 1995, poi in nuova edizione Longanesi nel 2010, sempre sull’onda dei vampiri Cullen di cui sopra.

La vera curiosità tuttavia, o se vogliamo la quadratura del cerchio, è un’altra: proprio della Rice oggi stanno di nuovo spopolando “The Beauty series”, romanzi erotici scritti negli anni ’80 con lo pseudonimo di A. N. Roquelaure. In italiano non risultano ancora tradotti, ma c’è da scommettere che arriveranno a breve o siano già in lavorazione. Nella fascetta dell’editore americano Plume (appartenente al Penguin Group) si legge “se ti è piaciuto  50 sfumature di grigio, adorerai la trilogia della Bella addormentata”. Un caso davvero peculiare di sinergia tra un boom editoriale – quello dei vampiri – e un altro, e di come una long-seller navigata e poco avvezza, tutto sommato, alle luci della ribalta come la Rice stia godendo i frutti di quei casi editoriali che lei stessa nel corso della sua carriera non era mai riuscita ad ottenere; forse, semplicemente, perché erano altri tempi e l’editoria non era ancora costruita per esplosioni successive.