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Antonio Tombolini: “Detrazioni fiscali sui libri, solo un favore fatto ai grandi editori. Puro assistenzialismo statalista”

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Bibliocartina ha chiesto ad Antonio Tombolini di Simplicissimus Book Farm, uno dei pionieri del libro elettronico in Italia, un parere sulla notizia degli sgravi fiscali per l’acquisto di libri che abbiamo dato la scorsa settimana. “Il governo ha ceduto alle pressioni dei grandi editori”, ha commentato Tombolini a Bibliocartina.

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Tombolini (Simplicissimus): “Ebook, l’incubo DRM è quasi finito; basta prendersela con Amazon come scusa per non innovare”

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Tra i primi a commentare la notizia data ieri da noi sulla class action intrapresa da alcuni librai indipendenti americani nei confronti di Amazon e delle case editrici più grandi degli USA c’è stato Antonio Tombolini (nella foto), patron di Simplicissimus Book Farm, una delle aziende italiane leader nella distribuzione di editoria digitale.

Anna Mioni, dalla traduzione al mestiere di agente letterario. “L’editoria attuale soffre di pigrizia; vincerà chi saprà essere flessibile e andare incontro alle nuove sfide digitali”.

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Alla ricerca di approfondimenti e nuovi punti di vista sul mercato del libro e i suoi mestieri, oggi Bibliocartina.it intervista Anna Mioni, protagonista del mondo letterario italiano da quasi 15 anni, nota traduttrice letteraria segnalata due volte (2008 e 2009) al prestigioso Premio Monselice per la traduzione, e da qualche mese anche titolare dell’agenzia letteraria internazionale AC²Agency.

 Cominciamo traendo spunto da un articolo di qualche giorno fa. Il quotidiano Repubblica ha recentemente pubblicato un’intervista a Jonathan Safran Foer in cui l’autore, criticando una deriva patriottica in atto secondo lui negli USA “che somiglia alla xenofobia”, fa riferimento anche alle traduzioni dei libri, che in America costituiscono (sono le cifre fornite da Foer stesso) circa il 3% dei libri pubblicati, a fronte di una percentuale di libri tradotti in Europa che andrebbe dal 30 al 45%. Secondo Foer questo significa che gli Stati Uniti stanno rinunciando al “dialogo col mondo”. Qual è, in merito, la tua opinione di traduttrice letteraria dall’inglese e di agente letterario internazionale?

Proprio l’anno scorso ho avuto modo di recarmi negli Stati Uniti con una borsa di studio. Ho incontrato vari editor, alcuni dei quali si occupano di collane di testi in traduzione, e ho sentito discorsi simili a quelli di Safran Foer. Pare che i lettori americani non siano interessati ad altri mondi che non siano il loro, e fatichino ad accostarsi a testi ambientati in contesti che non gli sono famigliari: non gli interessa nemmeno conoscerli, a meno che non si tratti di esotismi oleografici che confermano i loro stereotipi. Quindi, gli editori che vogliono fare editoria di ricerca traducendo da altre lingue spesso sono costretti ad appoggiarsi a finanziamenti universitari o a donazioni. È più facile che si pubblichi un autore straniero che ha vinto un premio o è campione di incassi, ma non è affatto scontato. Spesso persino gli scrittori inglesi faticano a diffondere i propri testi in America. Ma può darsi che questo stato di cose non duri a lungo: il predominio economico e culturale degli Stati Uniti cede il passo rispetto a quello dell’Asia; bisogna vedere se quest’ultima saprà proporre un modello forte anche dal punto di vista culturale, che soppianti il colonialismo americano subìto dal resto del mondo nel dopoguerra.

Non è possibile, dunque, che la realtà per quanto riguarda l’Europa sia ben più prosaica, e che tanti libri tradotti che vengono dagli Stati Uniti siano spesso selezionati secondo criteri puramente commerciali piuttosto che di effettivo interesse letterario, e spesso sull’onda del marketing letterario invece che di tendenze culturali indipendenti?

Per quanto riguarda il mercato italiano, spesso si compra e si fa tradurre ciò che è americano a scatola chiusa, per pura esterofilia, e per la presunzione che una storia possa vendere meglio e risultare più appetibile per il solo fatto che è straniera. Si arriva al paradosso, nella narrativa di genere, di far firmare con pseudonimi anglicizzanti scrittori che in realtà sono italianissimi. C’è una certa pigrizia di fondo della filiera editoriale, per cui quello che non passa tra le sue maglie rimane escluso dal processo di selezione, senza che necessariamente sia peggiore. Bisognerebbe ritrovare un po’ di spirito critico, e soprattutto leggere i libri prima di proporli al pubblico, invece di affidarsi solo al tam tam degli addetti ai lavori.

Quali credi che siano in generale le regole sottostanti al mercato della narrativa estera in Italia? Credi per esempio che copra generi poco usuali per gli scrittori italiani, o sono altri i motivi per cui in Italia si tende a dare molto peso alla narrativa estera?

Intanto voglio far rilevare che negli ultimi anni è molto cresciuta l’importanza della narrativa italiana, a livelli che fino a dieci anni fa erano impensabili; però secondo me dipende semplicemente dal fatto che pubblicare e promuovere uno scrittore italiano per gli editori ha dei costi molto più contenuti, e purtroppo non è dovuto a motivi più nobili (altre riflessioni interessanti sul turn-over degli esordienti si trovano per esempio nel pezzo di Ida Bozzi recentemente pubblicato sull’inserto La Lettura del Corriere della Sera). Fino a una decina d’anni fa, invece, la narrativa straniera predominava su tutto, per una combinazione di provincialismo, di sudditanza culturale, e forse anche per l’eccessiva litigiosità delle varie conventicole delle lettere nazionali.

Non credo ci siano regole sottostanti al mercato della narrativa estera in Italia, o meglio, sono le stesse che valgono per tutto il mondo editoriale moderno: ci sono i piccoli editori che fanno un lavoro di scouting secondo i propri gusti e i propri ideali, mentre gli editori commerciali sono più attenti a fiutare le tendenze globali per cercare di cavalcarle. Spesso e volentieri si importano acriticamente i successi esteri, convinti che debbano per forza replicare il loro successo da noi in patria, cosa non assolutamente scontata, date le differenze culturali di fondo che per fortuna ci sono ancora.

Ritieni che il ‘marketing di ritorno’ di cui opere tradotte possono godere in Italia abbia un peso nella scelta di acquisizione di un titolo? Sempre più, fra l’altro, i tempi per le traduzioni nelle case editrici si accorciano proprio per esigenze relative al calendario d’uscita, è il caso per esempio dei romanzi di Ken Follett che vengono fatti uscire in Italia in contemporanea con l’estero, o degli stessi romanzi della saga di Twilight o di altri, tradotti da squadre di traduttori, con tutto il rischio che ciò comporta in termini di stile, per accorciare i tempi. Usufruire di una sorta di campagna di marketing internazionale comune, risparmiando quindi fatica e risorse per una più mirata in Italia, secondo te è una scelta felice per gli editori italiani?

Non so nemmeno se è una scelta. Credo che ormai il mercato globalizzato contempli solo una possibile scelta, starne dentro o starne fuori. Per gli editori sarebbe un suicidio commerciale non approfittare del traino di grossi eventi promozionali (film, tournée, lanci internazionali) legati a un libro, e quindi si adeguano al sistema ormai consolidato in quasi tutto il mondo. Purtroppo questo implica, come sottolinei giustamente, il forzato ricorso a metodi di lavoro che non permettono di dedicare a un testo le dovute attenzioni in fase di traduzione e revisione. Si spera che gli editori ne comprendano l’importanza e si ricredano.

Che opinione hai, in generale, del marketing del libro? Marino Buzzi da noi intervistato qualche giorno fa ha espresso un’opinione molto critica a riguardo.

Ho scritto da poco un articolo molto dettagliato su Agorà, il blog di Scuola Twain dove avanzo anche delle proposte di soluzione per la crisi del mercato editoriale, oltre a tentare di identificarne alcune delle cause. Inutile dire che la mia analisi coincide in molti punti con quella di Buzzi.

Recentemente sei diventata un agente letterario internazionale. Puoi spiegarci brevemente in cosa consiste questo mestiere e le ragioni della tua scelta?

L’agente letterario rappresenta gli interessi degli autori presso gli editori, sia dal punto di vista contrattuale (cercando di stipulare il contratto più vantaggioso possibile e occupandosi degli aspetti amministrativi del rapporto) che da quello promozionale (cercando una casa editrice per l’autore, in Italia e all’estero). Ci sono agenti che lavorano esclusivamente a piazzare autori italiani in Italia, e altri come me che inoltre rappresentano in Italia agenzie e clienti esteri, e i propri autori all’estero, autonomamente o con l’aiuto di altri co-agenti. È una professione molto recente che in Italia non è ancora regolamentata; fino a poco tempo fa le agenzie erano poche e lavoravano in modo invisibile ai non addetti ai lavori.

È un’idea nata quando nel 2006 e 2007 ho lavorato come editor interna nella casa editrice padovana Alet, occupandomi anche dell’ufficio diritti. Ho seguito da vicino la parte gestionale dei diritti del libro e i colloqui con le agenzie straniere alle fiere italiane ed estere. Nel farlo ho notato che il meccanismo consueto di rapporto tra agenzie letterarie ed editori si poteva migliorare in vari punti; ma allora aprire un’agenzia per lavorare in modo diverso dalle agenzie tradizionali non sarebbe stato possibile, perché a quei tempi la maggior parte del lavoro si svolgeva su carta e aveva costi per me insostenibili. Ora che i manoscritti si scambiano solo via e-mail, è stato possibile far partire il progetto AC² Literary Agency e provare a mettere nel lavoro di agente anche tutte le esperienze acquisite come traduttrice e redattrice interna, oltre alla mia idea di letteratura e di mercato editoriale virtuoso. Inoltre, in un periodo di cambiamento come quello attuale, la transizione verso l’editoria elettronica è fonte continua di nuovi stimoli e rappresenta una sfida per chi vuole essere in grado di rispondere immediatamente a tutti i nuovi bisogni che questo nuovo mercato creerà per gli autori.

Pochi giorni fa, Antonio Tombolini fondatore della piattaforma di pubblicazione di ebook Simplicissimus Book Farm ha pubblicato sul suo blog una serie di considerazioni sui cambiamenti in corso nell’editoria italiana, data piuttosto per spacciata dall’editore nella sua forma tradizionale. Il cambiamento, la novità, a quanto sembra risiedono nella forma del libro elettronico e nell’affermazione che sta sperimentando in Italia, a fronte di un crollo del mercato librario tradizionale. Fra le altre cose, Tombolini sembra elogiare indirettamente la tua scelta di aprire un’agenzia letteraria, sostenendo che sia un ottimo momento per questo tipo di attività, purché non ci si attacchi alle vecchie abitudini ma si possiedano capacità intuitive e dimestichezza con i numeri. Che cosa ne pensi?

L’articolo di Antonio Tombolini di Simplicissimus Book Farm mi conferma alcune intuizioni di lungo corso che fa piacere ritrovare nel discorso di uno dei più grossi esperti di editoria elettronica in Italia. Lo scenario sta cambiando, l’editoria tradizionale non sarà più la stessa e chi non è pronto ad affrontare il suo nuovo assetto in modo flessibile e moderno non riuscirà più a restare sul mercato. In compenso, per chi è agile e duttile si prospettano nuovi scenari molto interessanti. Credo che nel giro di pochi anni il panorama editoriale italiano sarà cambiato enormemente. Il successo di vendita degli ebook quest’estate ne è la prova.