Intervista al Sindacato Traduttori Editoriali: “Fondi alle traduzioni per aumentare la qualità dell’offerta, e che siano gestiti in modo trasparente”

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Il sindacato dei traduttori editoriali Strade ha avviato una petizione per l’istituzione di un Fondo nazionale – la potete leggere per intero e firmare a questa pagina – che sostenga il lavoro dei traduttori editoriali e le traduzioni verso l’italiano. Per approfondire le ragioni dell’iniziativa e la situazione che oggi vivono i traduttori letterari in Italia Bibliocartina ha intervistato  Marina Pugliano, Chiara Marmugi e Claudia Zonghetti, affermate traduttrici letterarie e prime promotrici della petizione, le quali hanno risposto coralmente alle nostre domande. 

Domanda: La quantità di opere tradotte in Italia oggi è in calo, come la vostra stessa petizione ricorda. Tuttavia, la fiction straniera rimane per il momento l’unico settore con segno “+” di tutta la vendita libraria italiana. Ciò non toglie che il compenso medio dei traduttori in Italia sia il più basso fra tutti i paesi europei. Come si è arrivati a questa situazione a vostro parere? E perché ritenete che ci sia bisogno di un aiuto pubblico al settore della traduzione editoriale in Italia?

Risposta: I traduttori italiani sono da sempre fra i meno pagati d’Europa. La loro professionalità (per non dire la loro professione) non è mai stata riconosciuta né nel suo valore né – e tanto meno – nella sua funzione imprescindibile in un mondo che si vuole globalizzato, ma che ancora necessita di aprirsi allo scambio e alla reciproca conoscenza delle culture e, soprattutto, delle civiltà.

I motivi sono molteplici, e solo in parte riconducibili alla cattiva volontà di editori – specie medio-piccoli – che ora più che mai non riescono a far quadrare i conti nemmeno con spregiudicate politiche di compromesso con i gusti del pubblico combinate a una drastica riduzione del prezzo di copertina. Le ovvie ricadute sono facilmente immaginabili: tagli ai costi di produzione e, dunque, alle retribuzione delle varie figure della filiera editoriale, traduttori compresi.

Che l’editoria stia attraversando un momento di grave crisi risulta chiaramente dall’ultimo rapporto che l’AIE ha presentato alla Fiera di Francoforte.  Le cifre parlano chiaro: “Se nel 1997 il 24,9% dei titoli pubblicati erano traduzioni da una lingua straniera (in pratica un libro ogni quattro) oggi sono il 19,7%. E se nel 1997 il 40,3% delle copie stampate e distribuite erano di autori stranieri, oggi sono il 35,8”. Per citare un caso specifico, Susanne Höhn – direttrice del Goethe Institut e ospite della tavola rotonda sulle traduzioni che si è tenuta a Più Libri Più Liberi – faceva notare che i titoli tradotti in italiano dal tedesco sono calati di un terzo. Del resto pubblicare titoli italiani costa – ovviamente-  meno (in quanto alleggerisce dalle spese di traduzione) e può rappresentare un investimento, dal momento che i diritti possono essere poi rivenduti all’estero.

Scende il fatturato, dunque, e scende anche il numero dei lettori (meno 6,5% nell’ultimo anno secondo il CENSIS, e nella media europea l’Italia è  uno dei paesi in cui già si legge meno). E chiudono tante biblioteche e librerie, segno che le strategie adottate finora (abbassamento del prezzo di copertina, appiattimento sui gusti del pubblico, riduzione dei costi di produzione) sono inefficaci e che l’unica soluzione è aprire nuove vie di promozione e diffusione della lettura attraverso il coinvolgimento diretto e attivo di tutti i suoi protagonisti.

E ciò è possibile solo con l’intervento diretto e prepotente dello Stato. L’articolo 9 della nostra Costituzione dice che la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura. E per cultura non s’intende un bene di pochi, ma un patrimonio comune e necessario alla crescita della società. Ce lo insegnano paesi economicamente più forti, che alla cultura dedicano grandi spazi e risorse cospicue. Paesi come Germania, Francia, Svizzera, Norvegia, Danimarca sono esempi di come una politica di promozione della lettura possa dare ottimi risultati. Come? Anche e soprattutto puntando sulla qualità dell’offerta: un libro non va considerato solamente in termini di redditività e di profitto, come ormai – inesorabilmente – avviene in Italia. Non è un caso che nei paesi citati la traduzione sia ritenuta un fattore determinante, e che per questo motivo lo Stato stanzi appositi fondi che sostengono e incentivano la traduzione tramite premi e borse di studio, integrazioni ai compensi e aiuti alla formazione e all’aggiornamento dei traduttori.

Domanda: In che modo questo tipo di finanziamenti dovrebbe sostenere la traduzione di opere di qualità? Quali ritenete che dovrebbero essere i criteri decisionali in base ai quali attribuire fondi a un’opera invece che a un’altra?

Risposta: Basta un’occhiata alle classifiche di vendita per rendersi conto che i libri di successo sono quelli intesi per il lettore medio-basso. E basta leggere alcune recenti dichiarazioni dei direttori editoriali di case editrici anche grandi per rendersi conto che l’effetto-domino appiattisce (e appiattirà) consapevolmente l’offerta nella direzione indicata dal mercato. A scapito di libri meno facili, ma con una qualità di scrittura decisamente più alta. Se vendono i vampiri, saremo invasi da vampiri. Se vende il porno-soft, aspettiamoci decine di titoli omologati. Senza ricorrere all’esempio dei classici e della poesia (ormai sparita o quasi dai cataloghi), ci limiteremo a sottolineare che un libro, che i libri (e dunque gli editori che li pubblicano) dovrebbero contribuire a stuzzicare la curiosità dei lettori, spingendoli a sempre nuove curiosità. Il lettore non va nutrito a omogeneizzati, insomma, ma svezzato e abituato a sapori diversi, contrastanti. La stessa lettura di intrattenimento può e deve essere di qualità. E i finanziamenti erogati dal fondo che proponiamo di creare dovranno servire proprio a individuare queste opere e a promuoverne la pubblicazione. Per stabilire dei criteri è possibile ispirarsi alle prassi adottate negli altri paesi, dove già esiste una classificazione dei testi in base alle difficoltà di lingua, stile e contenuti. Un ulteriore esempio: la Francia esclude automaticamente dalle sovvenzioni del Centre Nationale du Livre i libri di sicuro successo commerciale, pur se di valore culturale indiscusso. Il fondo non deve sostituirsi all’editore, ma aiutarlo a integrare il suo catalogo con libri che fanno più fatica a trovare spazio sul mercato.

Domanda: Già oggi esistono programmi di finanziamento alla traduzione in italiano di opere straniere promossi da organismi europei quali il Programma Cultura dell’Unione Europea. Ma le case editrici non sempre si avvalgono di pratiche trasparenti nella gestione dei finanziamenti. Credete che si dovrebbe istituire anche un programma di vigilanza dell’utilizzo dei fondi ricevuti? Che garanzie ci sono sul fatto che questi fondi serviranno effettivamente a migliorare le condizioni di lavoro dei traduttori e conseguentemente permettere agli editori la pubblicazione di opere di maggiore qualità?

Risposta: L’analisi dei finanziamenti pubblici e privati stranieri alle traduzioni in lingua italiana è un altro degli obiettivi che ci poniamo. Abbiamo raccolto le esperienze (non sempre positive) di molti nostri colleghi e risulta quanto mai necessario invitare l’Europa a pratiche più trasparenti e meno mediate nell’erogazione dei fondi. Il primo passo sarà chiarire l’entità delle somme realmente destinate a coprire i costi di traduzione (i 27,9 euro a cartella indicati nella tabella del Programma Cultura, per esempio, pare non siano interamente destinati alla traduzione, ma anche alla stampa, alla distribuzione e alla promozione del libro). Un’altra – possibile – proposta sarà di versare direttamente il compenso al traduttore, senza passaggi intermedi che – a volte (e neanche di rado) – hanno implicato decurtazioni rispetto alla somma dichiarata sul contratto di traduzione oppure (in casi estremi, ma – ahinoi – non troppo rari) il mancato pagamento della stessa. Inoltre, ci sono stati casi di doppi contratti, false dichiarazioni estorte al traduttore non pagato con la promessa (non mantenuta) di saldare a erogazione avvenuta… Le fronde della malaeditoria sono rigogliose, ma vanno potate affinché i finanziamenti – stranieri e (speriamo) futuri interni – possano dare il giusto frutto. Per questo sarà necessario e inevitabile pensare a un adeguato sistema di controllo. Abbiamo chiesto ai colleghi stranieri di spiegarci come funzionano i loro fondi e ci stanno arrivando tanti suggerimenti preziosi: commissioni miste di traduttori ed editori, consulenze di esperti per tutte le lingue (così da non privilegiarne alcune a danno delle meno conosciute), avvicendamento continuo dei membri delle commissioni – un anno, due al massimo! – onde evitare “adozioni” mirate e finanziamenti ai “soliti noti”… Insomma: la strada è stata appena aperta, ma le idee non mancano.

Domanda: Quali sono gli organismi a cui vi rivolgete per portare avanti la vostra richiesta?

Risposta: Li vedete nei destinatari della nostra petizione: la Presidenza della Repubblica, i ministri per i Beni e le Attività culturali e per lo Sviluppo economico, il Sottosegretario di Stato con delega all’Informazione, alla Comunicazione e all’Editoria, e – in Europa – il Commissario europeo all’Istruzione, Cultura, Multilinguismo e il Commissario europeo all’Industria e Imprenditoria. Vorremo, insomma, che  Italia ed Europa si ritrovassero unite nel sostegno allo scambio e alla circolazione delle idee e dei saperi.

 

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