Giuseppe Liverani (Charta): “In Italia l’editoria è legata a un sistema marcio e basato sul conflitto d’interessi”
Nel corso della tavola rotonda sul lavoro editoriale organizzata martedì 22 gennaio scorso a Milano dagli assessori Stefano Boeri (Cultura) e Cristina Tajani (Lavoro), è stato particolarmente applaudito l’intervento di Giuseppe Liverani, titolare della casa editrice d’arte Charta, nel corso del quale l’editore ha posto l’accento sulla “concorrenza sleale rappresentata da quegli editori che utilizzano lavoratori precari per tagliare i costi permettendosi in questo modo di partecipare ai bandi di gara con offerte bassissime”, lasciando così fuori la concorrenza. Bibliocartina ha intervistato Liverani per approfondire l’argomento. Classe 1947, prima di essere un editore d’arte in proprio Giuseppe Liverani è stato attivista del movimento studentesco italiano degli anni ’60, inventore della famosissima agenda Smemoranda e direttore generale di Electa Editore, “da cui sono uscito appena prima che Berlusconi la acquistasse”; nel 1992 ha fondato Charta, casa editrice indipendente specializzata in arte e rivolta in gran parte al mercato estero. “Il 90% delle nostre vendite è in lingua straniera”, spiega Liverani. “Sul mercato italiano siamo presenti in minima parte e non certo per volere nostro. Più che altro potrei dire che siamo tagliati fuori, innanzitutto per quanto riguarda il rapporto con le istituzioni pubbliche, che nel caso dell’editoria d’arte rappresentano un committente importante per gli operatori”. Liverani spiega come “anche in editoria è in atto quello stesso processo di abbassamento della qualità alla ricerca forsennata del risparmio sui costi che è vero per tanti altri settori, dall’alimentazione all’abbigliamento. Ma mentre per quanto riguarda il cibo, per esempio, in qualche modo le aziende biologiche sono riuscite a far passare il concetto che selezionare e produrre con maggior cura gli alimenti è un vantaggio per la salute nonostante il costo maggiore, l’editoria “bio” non è ancora riuscita ad affermarsi, anzi direi che siamo sempre più lontani dall’orizzonte di un’editoria “biologica “, ovvero sana, sostenibile, di qualità”. Il concetto di qualità, nel caso del libro d’arte, “è legato alla fattura del libro in modo molto più evidente che per un libro di narrativa. Un libro d’arte di qualità lo si riconosce innanzitutto dalla qualità delle immagini, dal tipo di carta adoperato, dalla curatela. Diversamente dall’editoria fiction, la figura del fotolitista, del grafico e del redattore, lo stampatore e il rilegatore sono fondamentali per l’editoria d’arte. Come editore sono presente in prima persona al momento delicatissimo dell’avviamento della macchina stampatrice. E pretendo che l’addetto alle macchine sia sempre lo stesso durante tutta la durata del processo, perché un occhio non vede mai come un altro e la stampa è prima di tutto una questione di sguardo, la macchina è un ausilio, ma non lavora mai da sola. Un romanzo di fiction lo si avvia, e poi la in stampa è un processo effettivamente molto meccanizzato. Nel nostro caso non è così. Siamo nel campo del “beau livre”, come direbbero i francesi, del libro come prodotto di bellezza: peccato che tutta la politica culturale di questo paese legata all’arte, mi riferisco innanzitutto al circuito delle mostre e dei musei, non sia affatto volta alla valorizzazione della bellezza”. Né alla valorizzazione delle figure professionali che di questa bellezza sono artefici, secondo Liverani. “Ogni volta che, per esempio, indicono una gara per l’assegnazione di un catalogo per una mostra, gli enti pubblici giocano al ribasso. Accettano l’offerta economica più bassa senza neanche peritarsi di verificare se effettivamente i requisiti di partecipazione alla gara vengano rispettati, né da quali calcoli economici possano scaturire offerte tanto basse. Ed ecco che le industrie stampatrici possono partecipare alle stesse gare cui partecipano anche gli editori e vincerle, nonostante non abbiano al proprio interno una struttura redazionale regolare ma si affidino a figure esterne che lavorano con forme di contratto precarie o a partita IVA. Abbattono in questo modo i costi fissi necessari alla fattura del libro, e concorrono contro di noi che da una parte siamo loro clienti per quanto riguarda la stampa del libro, e dall’altra, sosteniamo anche i costi fissi di mantenimento di una redazione”. Allo stesso modo, “ci sono grandissimi gruppi che concorrono nelle gare impegnandosi a distribuire copie dei libri che stamperanno, come fa qualunque editore, ma poi questi libri nelle librerie non c’arrivano mai. Io sono uno che ritiene che il libro è tale se viene distribuito e vive la sua vita in libreria, altrimenti non è un libro; è uno stampato. Ma d’altra parte”, aggiunge Liverani, “questo è tipico del sistema italiano: le regole non sono fatte per essere rispettate, ma per giocare a chi è più bravo ad aggirarle. E se c’è conflitto d’interessi, tanto meglio”. A quale conflitto d’interessi si riferisce in particolare? “Al fatto che alcuni marchi d’editoria d’arte, ad esempio Electa Editore, che è parte del gruppo Mondadori, o Skira Editore, che invece fa parte di RCS, non sono soltanto editori d’arte, ma gestiscono in proprio anche le librerie, o come si dice oggi, i bookshop all’interno delle sale museali, dove ovviamente fanno il bello e il cattivo tempo”. Un problema, quest’ultimo, che com’è risaputo non riguarda soltanto l’editoria d’arte, e che anzi è stato più volte denunciato dagli editori indipendenti come uno dei principali fattori di “oligopolizzazione” del mercato. “Essere editori e contemporaneamente librai d’arte in regime oligopolistico consente di pretendere sconti che arrivano fino al 50% sul prezzo di copertina nei confronti di altri editori, e di procrastinare all’infinito i pagamenti. Quando ho denunciato alla giustizia questi comportamenti, il Tribunale mi ha sempre dato ragione. Ormai sono 3 anni che non lavoro più con alcuni di questi editori. Per loro non siamo dei clienti da servire, ma dei concorrenti innanzitutto, e d’altra parte è ovvio: come potrebbe mai un editore che gestisce anche le librerie – e i canali distributivi – riservare parità di trattamento ai libri delle altre case editrici? Significherebbe andare contro i propri interessi. Appunto questo è ciò che chiamo conflitto d’interessi. E il conflitto d’interessi, per natura, non può che generare concorrenza sleale”. Comportamenti, questi, che secondo Liverani “ormai sono la norma, in editoria e non solo, come sappiamo. Di certo non rappresentano un’eccezione. Anche per questo motivo abbiamo deciso di rivolgerci sempre di più all’estero, investendo nella distribuzione negli Stati Uniti, in Cina, in Australia. Senza idealizzare un sistema come quello americano, lì non ci siamo mai trovati in condizione di sentirci tagliati fuori in partenza. E lo scorso dicembre 2012 abbiamo suggellato il nostro prestigio all’estero con l’acquisizione da parte della Library of Congress di Washington di 101 nostri libri; è la prima volta che un’istituzione tanto prestigiosa riceve un volume di libri così importante da un editore straniero”. Tutto questo però “non basta a garantirsi una crescita; come editore ho 6 dipendenti in organico tutti assunti a tempo indeterminato, e quando mi avvalgo di collaboratori esterni, ad esempio i traduttori o i redattori esteri, sono professionisti freelance veri, la maggior parte dei quali non vive neanche in Italia. Ma si fa fatica, mi trovo in ritardo di un mese nel pagamento degli stipendi, e dal mese prossimo dovrò ricorrere anch’io alla cassa integrazione al 50%. Anche per questo mi allarmo quando vedo che ci sono redattori precari, o grafici precari, che per andare incontro alle esigenze dei loro datori di lavoro aprono studi professionali all’interno dei quali poi continuano a essere né più né meno che lavoratori a cottimo per quegli stessi che li sfruttavano anche prima, legittimando in questo modo le loro pratiche scorrette. Il rischio è che si venga acuendo una guerra tra poveri, in cui si gioca sporco anche tra i più piccoli. L’unica soluzione possibile è rimettere al centro la professionalità, il senso di voler far bene il proprio lavoro, l’orgoglio della qualità che si è in grado di offrire e che dovrebbe essere, in ultima analisi, il vero e più importante fattore su cui si basa la concorrenza, in un settore come il nostro”.
Tags: American Library of Congress, Arti Grafiche, bookshop museali, Charta, Cristina Tajani, editoria d'arte, Electa Editore, Giuseppe Liverani, Milano, Mondadori, precariato, Rizzoli, Silvana Editoriale, Skira Editore, Stefano Boeri
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Commenti (3)
Giuseppe Liverani (Charta Edizioni): “In Italia l’editoria è legata a un sistema marcio e basato sul conflitto d’interessi” | Librotondo | Scoop.it
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Aldo C. Marturano
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Sono d’accordo con Lei, L. Io sono uno storico e m’ingegno a trovare un editore che veramente sia interessato al mio settore. Vi ho trovato finora persone impreparate in quanto non sanno di storia, ma soprattutto perché a parte i contenuti si trovano soffocati dalla distribuzione, dai costi vivi della fabbricazione del libro, dalla difficoltà di acquisire testi stranieri e tantissime altre beghe finanziarie e tecniche che alla fine si devono piegare a stampare e farsi pagare tutte le spese dagli autori. Oggi arriva l’e.book ed è un’evoluzione positivissima, ma taglia fuori l’editoria tradizionale nel senso che di solito l’editore era legato alla tipografia, al distributore alle librerie che lo favorivano, ma…. senza nessuno che gli copre le spese e con la lunga shelflife che un libro ha, con un lettorato così negativo come quello italiano, soccombe. E’ una falcidia naturalmente che fa male all’editore improvvisato, senza preparazione culturale e in certo qual modo va anche bene così si selezionano i migliori. Tuttavia è il monopolio che va abbattuto eliminando sussidi, agevolazioni, etc. etc. e soprattutto la mafia delle case editrici scolastiche che hanno alcuno scopo didattico e pedagogico quando vedo ristampare per decenni gli stessi testi.
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[…] "L’unica soluzione possibile è rimettere al centro la professionalità, il senso di voler far bene il proprio lavoro, l’orgoglio della qualità che si è in grado di offrire e che dovrebbe essere, in ultima analisi, il vero e più importante fattore su cui si basa la concorrenza, in un settore come il nostro." […]
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