Milano, Rete redattori precari “In Mondadori ed RCS più del 50% di contratti atipici”. Le nostre domande a Re.Re.Pre sul precariato

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La Rete Redattori Precari, un gruppo autorganizzato di lavoratori dell’editoria milanese, ha pubblicato questa mattina sui suoi profili social un manifesto in cui si afferma che circa il 55% dei redattori presso le case editrici Mondadori (Mondadori Libri, Sperling, Piemme) e circa il 50% dei redattori presso il gruppo RCS (Rizzoli, Bompiani, Adelphi) lavora con “contratti atipici”.

Piccola e media editoria, tra il 2010 e il 2011 ha perso il lavoro una persona su dieci e hanno chiuso 125 case editrici

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Anche la piccola e media editoria è in crisi, e tra il 2010 e il 2011 ha perso il lavoro nel settore più di una persona su 10. Sono alcuni dei dati divulgati da Più libri più liberi, la Fiera della piccola e media editoria che si terrà a Roma dal 6 al 9 dicembre 2012 prossimi.

Libreria Edison di Firenze, Matteo Renzi ai lavoratori: “Salvaguardia dei posti di lavoro”

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Il 10 novembre scorso i lavoratori della libreria Edison di Firenze hanno incontrato il loro sindaco Matteo Renzi (nella foto) in merito al futuro, tuttora incerto, della grande libreria del centro la cui chiusura è ormai imminente. Come hanno riferito i lavoratori a vari organi di stampa, il sindaco Renzi si è impegnato con i dipendenti alla salvaguardia dei loro posti di lavoro.

FNAC, oggi in Italia tutti i negozi chiusi. “Adesione totale dei dipendenti, l’azienda pensa soltanto a salvare l’immagine del PPR Group presso le istituzioni, noi ancora senza una risposta”.

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Oggi 5 ottobre la pressoché totalità dei dipendenti FNAC in Italia (circa 600 persone) sciopera contro il silenzio dell’azienda e del gruppo cui fa capo, il PPR Group diretto da François-Henri Pinault, a fronte di annunci di dieci mesi fa stando ai quali tra meno di due mesi i negozi FNAC dovrebbero presumibilmente chiudere in Italia, e i dipendenti perdere il lavoro. “Siamo giunti allo sciopero dopo un mese intero di sit-in e richieste gentili in tutta Italia, cui l’azienda ha risposto con il silenzio assoluto nei confronti dei dipendenti”, ha dichiarato a Bibliocartina.it Giuseppe, un lavoratore FNAC di Milano. “Quel che è peggio, nei confronti di 20 persone che sfilavano davanti al negozio Gucci (parte dello stesso PPR Group) lo scorso 19 settembre a Milano, l’azienda ha chiamato la Digos, l’Amministratore Delegato FNAC intanto sta girando l’Italia facendo pubbliche relazioni nei confronti delle istituzioni per salvare l’immagine del Gruppo PPR, e noi veniamo bellamente ignorati, nonostante i sindacati avessero chiesto una risposta entro il 30 settembre. Perché l’amministratore delegato non viene a parlare con noi?”.

I presidi di sciopero di stamattina si tengono a Milano (dove sono convogliate anche Genova e Firenze), a Torino, a Verona, Napoli e Roma. L’immagine è tratta dal gruppo Facebook Salviamo Fnac attraverso il quale in questi mesi i lavoratori stanno raccogliendo solidarietà e raccontando le loro vicende e la loro lotta.

Librerie: a Firenze chiude Edison, sfrattata da Feltrinelli, e vorrebbe aprire Apple. Ma la legge comunale attuale lo vieta, il sindaco Renzi la cambierà per far aprire l’Apple Store?

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La storica libreria fiorentina Edison si prepara a chiudere i battenti, ma le trattative in corso per il subentro fra Apple e il gruppo Feltrinelli, proprietario dello stabile, potrebbero essere inficiate da una legge comunale secondo la quale le librerie che chiudono possono essere riconvertite solo ad attività di carattere culturale, per almeno il 70% della superficie occupata. Mentre perdura la vicenda FNAC, ecco dunque altro caso di marchio librario che scompare in Italia (anche la Edison in franchising di Livorno sta per chiudere, come riporta il quotidiano La Nazione).

La società che gestisce la libreria Edison, aperta nella centralissima Piazza della Repubblica fiorentina fin dal 1996, è stata sfrattata dal gruppo Feltrinelli proprietario dello stabile, dopo una lunga vicenda giudiziaria che infine ha dato ragione ai proprietari. L’esecuzione dello sfratto è prevista per il 30 settembre, dunque a giorni, e giovedì sera scorso i 36 dipendenti della libreria hanno inscenato una protesta serale contro il destino del negozio e del loro lavoro. 

Come nei giorni scorsi hanno già comunicato più organi di stampa, è in corso una trattativa tra Feltrinelli ed Apple, fortemente voluta anche dal sindaco di Firenze Matteo Renzi, per l’acquisizione dei locali da parte del colosso americano. Tuttavia, le leggi comunali a salvaguardia del patrimonio culturale rappresentano un ostacolo serio alla conclusione della trattativa; il sindaco, come riferisce MacCitynet, dovrebbe trovarsi nella difficile situazione di dover convincere la sua maggioranza a modificare la norma a salvaguardia della cultura, per garantire Apple, la quale altrimenti dovrebbe dedicare alla vendita a malapena un 30% dello spazio snaturando così l’uniforme concetto degli Apple Store e ovviamente rinunciando a consistenti entrate. La modifica della norma, tuttavia, rappresenterebbe una evidente legge ad hoc, pensata per favorire una multinazionale, mentre nel frattempo 36 persone entro questo fine settimana perderanno il posto di lavoro.

Isabella Zani: “Il rischio d’impresa lo paghi l’imprenditore, basta con i freelance che finanziano le perdite delle case editrici”

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Ecco la seconda parte della lettera indirizzata da Isabella Zani, traduttrice letteraria, al mondo editoriale italiano, che pubblichiamo con il permesso dell’autrice. La prima parte si trova qui.

(segue dalla prima parte) No, certo, non è la prima volta che mi succede: anzi, è solo l’ultima di una lunga serie. Gli editori italiani fanno quasi tutti così, procedono per arbitri grossolani e protervi. Contratti blindati, negoziabili solo in minima parte se non mai per nessun motivo, compensi decisamente inadeguati al lavoro – almeno al mio, la traduzione letteraria dall’inglese – nessun anticipo (il solo accenno strappa risate) ma soprattutto termini di pagamento da lunghi a lunghissimi, e che quasi mai vengono rispettati. L’editoria italiana di traduzioni, molto semplicemente, si finanzia con i compensi dei collaboratori free-lance. Si assume il cosiddetto rischio d’impresa in modo, diciamo, bizzarro: se il rischio genera guadagni, l’impresa editoriale non li divide con nessuno fra quanti hanno contribuito a confezionare prodotto di successo; ma se il rischio è causa di perdite, l’impresa editoriale lo scarica sui collaboratori come me. Perché tanto quasi nessuno «fa causa», il recupero crediti è costoso, i tempi giudiziari sono quelli che sono… ma soprattutto perché nessuno vuole passare da piantagrane. Infatti il lavoro di traduzione è tanto, ma gli incarichi di traduzione editoriale pagati sopra il limite della decenza, per committenti seri e affidabili, su libri che valgano la fatica di mesi di lavoro scrupoloso e senza cedimenti, sono pochi. (C’è abbondanza di sfruttamento, fra tutte le imprese che si servono di traduzioni a qualunque titolo, non solo quelle editoriali, ma non c’è abbondanza di lavoro dignitoso e dignitosamente compensato.)

Dico queste cose proprio a lei – ma ripeto, se potessi vorrei dirle al Presidente della vostra casa editrice – per due motivi.  

Il primo riguarda voi: le occasioni di collaborazione avute in passato erano andate sempre bene, e perciò mi fidavo. Prima delle trattative, prima dei contratti, prima di tutto io mi fidavo del vostro nome e della vostra reputazione. Pensavo di avere a che fare con delle persone per bene. Oggi so che non sono l’unica in questa situazione, che altri colleghi come me attendono il dovuto e non hanno risposta, e se qualcuno dovesse chiederci dei vostri comportamenti, della vostra affidabilità, né io né loro potremmo dire che le cose stanno diversamente da come stanno: voi avete dei problemi, e trattenete i nostri soldi. Quelli che ci dovete secondo i patti. E chi infrange i patti, chi non rispetta gli accordi perché può prevalere senza conseguenze, non è una persona per bene. Siete sicuri che tappare le falle nei conti correnti dell’Azienda sia più importante che mantenere la vostra reputazione, anche di committenti rispettosi? Che non ci sia un modo più degno, di tappare queste falle, che incrinare o distruggere la fiducia che un bravo collaboratore ripone in voi? L’editoria è un mondo piccolo, e i vostri concorrenti seminavano già mesi addietro il dubbio che voi non foste «più gli stessi», ma né io né altri ci abbiamo dato peso. E se anche l’avessimo fatto? Non siamo gente che può permettersi troppi distinguo: siamo cottimisti che devono produrre cartelle, meglio che possono nel tempo che hanno.

Il secondo motivo invece riguarda me, che sono stanca. Faccio questo lavoro da dieci anni, credo di farlo bene almeno in termini di scrupolo e di impegno, ho avuto modo di imparare molto, continuo a farlo e tra cinque anni sarò più brava di adesso, che sono più brava di cinque anni fa; vorrei anche costare di più, fra cinque anni, malgrado ora non costi più di cinque anni fa. Ma sono stanca di tenermi tutte queste cose per me. Sono stanca di non far altro che sforzarmi di migliorare, solo per rendermi conto che il mio lavoro non merita nemmeno di venire pagato puntualmente. Ho diritto a ricevere il dovuto quando si è pattuito che lo riceverò: non prima, ma nemmeno dopo, dopo ancora, chissà quando. Il rischio d’impresa lo paghi l’imprenditore: io ho solo firmato un contratto in cui mi impegnavo a fornire una certa prestazione professionale entro una tal data, in cambio di una somma di denaro da corrispondersi alla talaltra data. Non sono socia dell’impresa. Non partecipo degli utili, e mi rifiuto di finanziarne le perdite.

E se invece la vostra posizione è che questo risultato non si può ottenere, se le cose non possono cambiare e semmai peggioreranno, se un editore potrà continuare a decidere in sprezzo degli impegni presi chi verrà pagato e chi no, e quando sì e quando no, allora, per favore, almeno smettiamola con la farsa dei contratti da compilare, spedire, controfirmare, rispedire… mettiamo fine a questo spreco di cellulosa. Perché un contratto che una parte può decidere di non rispettare è carta straccia. E allora, almeno, data l’inevitabilità del danno, risparmiateci almeno le beffe.

Grazie della pazienza, cordialmente 

Isabella Zani

Lettera a un redattore da una traduttrice letteraria: “L’editoria italiana di traduzioni si finanzia con i compensi dei collaboratori free-lance”, di Isabella Zani

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Pubblichiamo, con il permesso dell’autrice, una lettera rivolta da Isabella Zani, traduttrice letteraria dall’inglese, al mondo editoriale italiano. Nella lunga lettera si rivolgono critiche taglienti al sistema di gestione delle collaborazioni freelance da parte dell’editoria italiana. La pubblichiamo in due parti:

“Caro Redattore

la spero bene, e la avverto che non sarò breve.

Scrivo di nuovo a lei perché non ho indirizzi e-mail affidabili per la presidenza della sua Casa Editrice, reale destinataria di questo messaggio; ma in ogni caso perché fu lei a telefonarmi diversi giorni fa, per riferirmi che il pagamento dovuto per la traduzione consegnata il 10 maggio – pagamento che attendevo alla fine di luglio (fidando sul consueto termine di sessanta giorni «fine mese») ma che, trascorsi inutilmente lo stesso mese di luglio e poi il mese di agosto, mi era stato annunciato per la fine di agosto con «valuta ai primi di settembre» – era stato nuovamente rimandato alla fine di settembre (120 giorni fine mese dalla consegna, tanto per tenere i conti). Annuncio che peraltro poggiava solo sulla sua e mia buona fede, perché i documenti ufficiali in questi casi (ordini di bonifico, matrici di assegni, chissà) rimangono sempre misteriosi.

Lei ascoltò quanto avevo da dire in merito a questo comportamento da parte dell’Azienda per cui lei lavora; affermò che mi avrebbe compresa se in futuro non avessi più accettato di lavorare per voi (ma io ho bisogno di più lavoro, non meno); si disse concorde con le mie opinioni ma impotente a cambiare la situazione, e mi salutò esprimendo la speranza di potermi richiamare presto con notizie confortanti, cosa che a distanza di oltre una settimana non è accaduta. Ma in effetti sono abbastanza certa che lei per primo non credesse al suo auspicio, come non vi credetti io: perché siamo adulti e professionisti che, sebbene con mansioni diverse, dipendono da un editore di libri per il proprio sostentamento, e sappiamo ormai anche troppo bene che l’editoria libraria è un’industria governata dall’arbitrio, quando non dal vero e proprio capriccio.

Come definire altrimenti che arbitraria la decisione improvvisa – e che non mi sarebbe stata comunicata a meno di numerosi e umilianti solleciti – da parte della vostra presidenza di sospendere i pagamenti ai collaboratori, malgrado i contratti firmati, malgrado l’esecuzione e la consegna puntuale del lavoro, malgrado i patti? Le ragioni, ovviamente, non sono difficili da immaginare. I libri sono oggetti amatissimi che però non rendono molto; forse già da quando esistono, ma in questi ultimi tempi di sconquassi finanziari ed economici meno che mai, ed evidentemente il primo semestre di quest’anno per l’editoria nazionale è stato davvero il «bagno di sangue» che si sente menzionare qua e là. Quindi le casse sono vuote, i conti non tornano, e allora che cosa si fa? Si aspetta a pagare i traduttori (e magari i revisori esterni, i grafici, chissà quanti altri collaboratori dotati di potere contrattuale e strumenti di rivalsa scarsi o nulli). E quanto si aspetta? Un mese, due, tre, in realtà nessuno può dirlo perché la decisione è in mano a un gruppo ristretto o perfino a una sola persona, che può rimandare il saldo del dovuto a proprio piacimento senza nemmeno sentirsi in dovere di avvisare se non è il creditore a chiedere notizie, chiedere notizie, chiedere notizie, a scapito del propro tempo e della propria serenità. Pagheremo quando potremo.

Ogni tanto mi diverto a immaginare che cosa succederebbe se, a contratto firmato e magari diverse settimane dopo l’assegnazione del lavoro, a una richiesta di informazioni sulla consegna di una traduzione rispondessi «Cosa vuole che le dica, consegnerò quando potrò. Ora non è possibile». Potrei strappare un sorriso incredulo oppure ottenere una reazione sdegnata, vedermi agitare davanti agli occhi lo spettro della rescissione del contratto e negare il compenso pattuito. Insomma è probabile che mi ritroverei senza i soldi. Vale a dire, il medesimo risultato che ottengo adesso lavorando con diligenza e rispettando gli impegni: infatti sono passati quattro mesi da che ho fatto la mia parte, e mi ritrovo senza i soldi, e non so quando li avrò.

(qui la seconda parte)

Antonio Bagnoli (Pendragon Edizioni): “Quei pochi editori che sfruttano fanno più notizia di tutte quelle centinaia che offrono la loro struttura come luogo di formazione”

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Bibliocartina ieri ha interpellato Antonio Bagnoli, amministratore unico e direttore editoriale di Pendragon Edizioni, in merito a un suo intervento su Facebook sul ruolo degli stagisti in una casa editrice, nel quale l’editore comunicava la volontà di non avvalersi più delle convenzioni accademiche per tirocinio, a causa di un “movimento d’opinione che vede tutti coloro che accettano “lavoratori” non pagati come strozzini pronti ad arricchirsi sulle spalle delle competenze ed energie dei giovani in cerca di occupazione”. 

Abbiamo rivolto al patron di Pendragon alcune domande cui Bagnoli oggi risponde, riportiamo qui sotto l’intervista integrale:

Domanda: Perché ha messo la parola “lavoratori” tra virgolette, nel suo commento, riferendosi agli stagisti?

Risposta: L’ho fatto per amore di precisione: credo che gli stagisti siano infatti delle persone che stanno completando il loro percorso formativo osservando, testando e verificando direttamente come avviene il lavoro. Per questo mi pare giusto usare il virgolettato.

D: Perché tanto livore, evidente nelle sue parole, nei confronti degli stagisti, fino al punto di decidere di non collaborare più con le istituzioni accademiche per accogliere tirocinanti in redazione?

R: Mi spiace che si sia visto del livore, evidentemente mi sono espresso male (era piuttosto una battuta: mai pensato di scrivere libri con gli errori!). La scelta – momentanea – di non accogliere più stagisti (scelta condivisa da editori concittadini del calibro del Mulino, Zanichelli ecc.) è dovuta a una serie di fattori: spazio, opportunità ecc. ecc. e, non ultimo, l’atteggiamento di cui parleremo nella prossima domanda.

D: Quali sono, secondo lei, le ragioni per cui “circola un movimento d’opinione” che vede “gli editori come gentaglia che sfrutta il lavoro altrui?

R: Gli editori, come tutti gli operatori economici che operano in campo culturale, sono in difficoltà economiche. Tra questi ci saranno senz’altro personaggi che arrivano  a sfruttare il lavoro di finti stagisti. Credo, permettetemi di dirlo, si tratta davvero di una minoranza. Evidentemente però fanno più notizia loro di tutte quelle centinaia di colleghi che offrono la loro struttura e la loro professionalità come luogo di formazione. E quindi, su internet come sulla stampa, si nota una giusta levata di scudi contro questa modalità, che è invece stata l’unica che ha permesso a tanti giovani di “saggiare” sul campo la loro capacità.

D: Quale può essere, secondo lei, la giusta soluzione al problema del lavoro nel settore editoriale? Non le sembra, a maggior ragione per le considerazioni che fa sulla scarsa preparazione dei tirocinanti a fronte della presunzione che lei lamenta, che ci sia nel settore editoriale una eccessiva sproporzione tra numero di stagisti e tirocinanti e numero di reali professionisti? E non crede che una delle condizioni necessarie per crescere come professionisti, in qualunque mestiere, sia poter svolgere il proprio lavoro in condizioni di serenità e di dignità, che non sono, tipicamente, quelle di uno stagista medio italiano?

R: Questa domanda mi spiega perché il mio post ha suscitato il vostro interesse: evidentemente sono ignorante su come avvengono molte cose al di fuori del mio orticello. Infatti la mia conoscenza poggia su basi diverse. Nella mia realtà non ho mai avuto più di due stagisti per volta, e la durata media del loro impegno è stata di tre mesi. Posso garantirle che questo tempo, nel nostro settore, non basta nemmeno a capire i rudimenti del mestiere, mestiere che si impara con anni di pratica. (Le faccio un veloce esempio: il famoso master di Eco in editoria dura due anni, di cui sei mesi di stage. Alla fine del percorso di studi – estremamente specializzato – i ragazzi hanno i rudimenti del mestiere). Pensare che gli stagisti sostituiscano la forza lavoro di una casa editrice è sinceramente assurdo: lei si fiderebbe di far correggere delle bozze di un libro (magari importante) a chi non l’ha mai fatto? O far fare l’editing di un romanzo a un giovane alle prime armi? Per questo scrivevo su Facebook che accogliere uno stagista è un costo per una casa editrice: il lavoro che svolgerà, dovrà sempre essere ricontrollato da un professionista finito. Mi trovo totalmente in accordo con lei sull’ultima domanda: per crescere occorre serenità e dignità. Evidentemente non so – davvero – quali siano le condizioni di uno stagista medio italiano. Quelli con cui sono entrato in contatto – a parte l’ovvio desiderio di trovare una collocazione lavorativa al più presto – non mi sono parsi in condizioni così disagiate.

D: Non crede dunque che in Italia gli stagisti andrebbero meglio retribuiti, come avviene nella maggior parte dei paesi europei, in modo da potersi formare sul campo in condizioni di serenità e di dignità?

R: Qui ho bisogno di capire meglio la sua domanda: io non credo che per le aziende lo stage debba sostituire il lavoro. Quindi le formule di “stage pagato” sono delle storture che coprono una sorta di sfruttamento. Credo che le opzioni siano due: o sono io che insegno qualcosa (come nel caso dello stage), e allora di pagamento non ha senso parlare. Oppure  sono io che utilizzo il lavoro di una persona, e quindi la pago. Quanto la persona debba essere pagata è discorso diverso: libera contrattazione? Contratti collettivi? Non so, non sono un giuslavorista. Ma di fondo la separazione mi pare necessaria: “stage pagato” è una contraddizione in termini (che, personalmente, non ho mai usato).

D: Concludendo: sappiamo tutti che l’editoria è in crisi in questo paese. Non crede che sia anche perché il lavoro editoriale in Italia si basa sullo scarso riconoscimento del valore delle persone che lavorano, prima ancora che delle figure professionali che lo popolano?

R: Purtroppo no. Non credo che se gli editor, i redattori, i commerciali e tutte le figure tecniche che lavorano nella filiera editoriale avessero maggiori riconoscimenti (sia economici che professionali) il settore funzionerebbe meglio. La verità è che in questo paese la lettura non è incentivata in nessun modo, come invece avviene all’estero; e quindi si comprano meno libri, e quindi c’è crisi… Vorrei fare un’ultima precisazione, importante. Nel mondo editoriale esistono decine di diverse mansioni: rappresentante, magazziniere, editor, traduttore, redattore, addetto stampa, commerciale ecc. ecc. È chiaro che per ognuna di queste il percorso formativo e le opportunità sono diverse. Per alcune di queste, uno stage non ha nessun senso; per altre non basterebbe di un anno. Credo sia una distinzione di cui bisognerebbe tenere conto.

 


Pendragon Edizioni: “Non accettiamo più stagisti”. “Basta vedere gli editori come gentaglia che sfrutta il lavoro altrui”.

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Oggi su Facebook, nella pagina dell’editrice bolognese Pendragon, è apparso un annuncio pubblico da parte della stessa editrice, nel quale si dice: “rendiamo pubblico che da un anno circa non accettiamo più stage e tirocini formativi, che abbiamo sempre gestito con l’Università di Bologna, con la Scuola Superiore di Studi Umanistici e altre istituzioni di massimo prestigio.”

FNAC, la mobilitazione dei dipendenti questa sera arriva a Roma

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La protesta dei lavoratori FNAC Italia, di cui abbiamo parlato nei giorni scorsi, continua e arriva oggi a Roma a Piazza del Popolo, alle 21.30. Allo stesso modo che a Milano, la mobilitazione segue dunque il calendario della Vogue Fashion Night out, evento cittadino legato al mondo della moda. Lo ricordano infatti gli stessi dipendenti FNAC nel comunicato di mobilitazione che hanno scritto: “la scorsa settimana a Milano in occasione della Vogue Fashion’s Night Out, i dipendenti di Fnac Italia – a rischio chiusura – hanno manifestato in via Montenapoleone di fronte a Gucci, marchio di punta del Gruppo PPR, di cui Fnac fa parte”. Oggi la manifestazione è prevista a Roma, mentre il 18 settembre sarà a Napoli, come aveva comunicato a Bibliocartina nei giorni scorsi anche Giuseppe, un dipendente FNAC che abbiamo intervistato. A Roma il gruppo FNAC possiede un punto vendita situato nel Centro Commerciale “Porta di Roma”, che impiega circa 50 dipendenti. A Napoli, invece, il punto vendita si trova nel popoloso quartiere del Vomero.

I lavoratori FNAC Italia, che hanno ottenuto già numerose espressioni di solidarietà da clienti e amici, in particolare attraverso la loro attiva pagina Facebook, chiedono all’azienda un pronunciamento chiaro e tempestivo sulla situazione del marchio e dell’azienda nella penisola. Protestano contro il fatto che, a fronte di dichiarazioni del gennaio scorso in cui il management del gruppo sosteneva che non ci fossero più le condizioni per investire in Italia per FNAC, nei nove mesi successivi nessuno si sia preoccupato di comunicare con i dipendenti e di metterli in condizione di conoscere il proprio destino in FNAC. A questo proposito, Bibliocartina ha interpellato due giorni fa la Responsabile dell’Ufficio Stampa internazionale FNAC Gaëlle Toussaint la quale ha fatto riferimento a una possibile dichiarazione dei vertici prevista la prossima settimana.

FNAC Italia, dal PPR Group una risposta ai dipendenti la prossima settimana?

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Il PPR Group proprietario della catena della grande distribuzione culturale e tecnologica FNAC “potrebbe pronunciarsi sul futuro di FNAC Italia la prossima settimana.” Questo è ciò che dalla Francia, usando il condizionale, ha dichiarato rapidamente al telefono a Bibliocartina questa mattina Gaëlle Toussaint, responsabile comunicazione FNAC, quando l’abbiamo contattata per avere notizie circa il futuro dei 600 dipendenti FNAC Italia attuali che sono in questi giorni in mobilitazione e che abbiamo intervistato stamattina. Toussaint ha anche aggiunto che “non possiamo dare comunicazioni precise poiché l’azienda è attualmente in fase di riorganizzazione dei processi aziendali”. Per verificare la notizia Bibliocartina ha cercato di contattare anche il responsabile delle pubbliche relazioni per Fnac in Italia, Gianfranco Mazzone dell’agenzia Burson Masteller, il quale non si è al momento reso reperibile.

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