Speciale Lettura: promuoverla, ma verso chi? E perché? Parte II: più degli sconti, fanno danno le scontatezze

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Riprendiamo il nostro speciale sulla Promozione della lettura, ispirato alla pubblicazione del primo “Rapporto sulla promozione della lettura in Italia” a cura del Forum del libro. Nella prima parte, pubblicata ieri, siamo partiti da una fotografia non ritoccata della popolazione dei lettori in Italia: una minoranza da sempre, a dispetto delle aspettative che negli ultimi 20 anni gli editori possono aver nutrito nei confronti delle prospettive della lettura, e che hanno portato a una crescita insostenibile della produzione libraria italiana: oggi si pubblica circa il triplo dei titoli che venivano pubblicati nel 1984, e i lettori forti, quelli che leggono più di 12 libri l’anno, pur essendo solo il 6,3% della popolazione italiana (circa 4 milioni di persone) totalizzano il 40% circa dei volumi di vendita. Anche all’editoria si può applicare il concetto di ‘insostenibilità’ che è stato utilizzato in altri settori industriali. Come, in un certo senso, sta avvenendo per le automobili, in un momento di crisi economica complessiva i consumatori forti non ce la fanno più a sobbarcarsi il costo di tanti prodotti comprati e mai letti (o di cambi continui di automobili sempre più costose), le troppe e continue novità rischiano di subissare la percezione del lettore producendo un rigetto. Finalmente anche gli editori sembrano essersene accorti, visto che nei primi cinque mesi del 2012 – sostiene il rapporto – il numero di titoli prodotti è diminuito del 9,1% rispetto allo stesso perido del 2011. In un quadro di così forte polarizzazione piramidale tra una minoranza che legge (e compra) tanto, e una maggioranza che non legge affatto, che cosa vuol dire allora “promuovere la lettura”? Promuoverla a quale scopo: affinché chi non legge mai legga almeno ogni tanto, o affinché chi già legge tanto legga ancora di più? Il rapporto del Forum del Libro si esprime in modo chiaro su questo: gli editori hanno teso a “promuovere la lettura soprattutto verso i lettori forti, un pubblico facile da raggiungere e di cui si conoscono le abitudini e le preferenze. Viceversa sono state del tutto insufficienti le attività finalizzate a stimolare i lettori deboli e i non lettori, che avrebbero potuto molto vantaggiosamente allargare le basi sociali della lettura. […] L’ampliamento della base dei lettori resta comunque il nodo da affrontare e, al tempo stesso, il principale limite delle campagne promozionali condotte finora“.

Il Rapporto sembra non avere dubbi: l’obiettivo di qualunque campagna di promozione della lettura dev’essere allargare la base dei lettori. Perché? Anche in questo caso la domanda è tutt’altro che retorica. Alla radice di questa idea c’è infatti una certa concezione della lettura. Chi direbbe mai, infatti, ricoprendo un ruolo istituzionale, “dobbiamo allargare il più possibile la base dei videogiocatori”? C’è forse un sottosegretario alla Presidenza del Consiglio che dice “dobbiamo allargare il più possibile la base dei lavoratori a maglia”? Eppure, la tessitura è una di quelle attività che la specie umana – in primo luogo per mano delle donne – pratica da millenni, che ha garantito la sopravvivenza della specie umana, e che oggi si sta irrimediabilmente perdendo a causa dell’industrializzazione massiccia. Perché mai la lettura dovrebbe essere considerata in modo differente, visto che – tra l’altro – il rapporto non fa riferimento alla lettura ai fini scolastici o professionali, ma alla lettura come attività nel tempo libero?

Evidentemente, pesa moltissimo quella che a dicembre, nel corso di una tavola rotonda alla fiera dell’editoria “Più libri più liberi”, la scrittrice Elisabetta Rasy ha definito “visione della lettura come attività edificante“. Un’idea, appunto,  e non una realtà della lettura; un’idea che forse meriterebbe di essere messa in discussione – la stessa Rasy sosteneva, in quella discussione, che ‘non esiste la lettura in sé, esistono i libri da leggere e il piacere che essi donano’ – o che in ogni caso non andrebbe data per acquisita, per scontata. Prima di tutto perché i partidari di questa visione troppo spesso dimenticano, o fanno finta di dimenticare, che c’è cultura in tutto, che la cultura è una dimensione dell’esistenza che attraversa ogni attività umana dal consumo televisivo, allo sport, al lavoro, al viaggio, al riposo, all’alimentazione; l’idea di una cultura essenzialmente coincidente con le grandi opere artistiche, più che vecchia è errata, ma ancora dura a morire. Piuttosto che chiamare dispregiativamente “libroidi” i libri ispirati essenzialmente ad altre attività umane (la cucina, lo sport, la televisione, il gioco ecc.) e a chi le svolge, sarebbe ben più utile capire perché la gente li legge, e anche che cos’è un libro oggi nella percezione delle persone. A che cosa può servire un libro e in che modo la lettura si inserisce nel flusso dell’attività umana quotidiana (compresa l’attività immaginifica); che cosa si cerca, oggi, in un libro che non si può trovare altrove, in che modo i libri comunicano e raccontano storie in un continuo gioco di rimandi, con altre espressioni artistiche o comunicative: il cinema, i videogiochi innanzitutto. Chi ritiene che la multimedialità sia una novità del nostro millennio si dimentica del teatro e dell’opera, di circa quattro secoli di intreccio costante tra musica, arti visive e corporee, e scrittura. Oggi, prendendo per buona la definizione coniata, pare, da Gian Arturo Ferrari, il libretto de Le nozze di Figaro di Lorenzo da Ponte sarebbe considerato un ‘libroide’.
Pur mantenendo un suo equilibrio, a nostro parere anche il “Primo rapporto sulla promozione della lettura in Italia” pecca di questa visione della lettura come attività ‘edificante’ e confonde, colpevolmente, la lettura come attività cognitiva, scolastica, necessaria allo sviluppo cognitivo dell’individuo specie negli anni dell’infanzia, con la lettura come attività piacevole e per il tempo libero. Tanto è vero che auspica, per la promozione del libro, essenzialmente “la rifondazione di un sistema di valori in cui la cultura e l’istruzione tornino a essere apprezzate”. Certamente è vero che c’è un intreccio fra cultura, istruzione, e divertimento o piacere: i bambini apprendono divertendosi, leggendo. Ma sparigliare le carte facendo confusione tra un’attività e l’altra è sbagliato, quando si ragiona sul proprio agire professionale. I bambini imparano anche giocando, è proprio delle caratteristiche umane imparare vivendo, specie negli anni dello sviluppo cognitivo. Ma il gioco è gioco, e se non diverte, non è più gioco. Il successo di un gioco si misura innanzittuto dal benessere che procura. Allo stesso modo, evidentemente, qualunque politica di promozione della lettura che non parta dalla semplice idea che si legge perché è un piacere (specie nel tempo libero!), perché ci piace ascoltare le storie con gli occhi; perché ci piace studiare e scoprire, leggendo; perché apprezziamo alcune caratteristiche dell’attività della lettura, per esempio il silenzio, o la musica a basso volume, o la solitudine, o il raccoglimento in gruppi ascoltando la voce di uno, non può che essere miope. Ma soprattutto è miope qualunque politica che non fa i conti con alcune caratteristiche essenziali della specie umana: il piacere, qualunque piacere, persino in un’epoca così intrisa di malessere come questa, è contagioso. Vola veloce di bocca in bocca. Il miglior “promotore della lettura” non può che essere colui che, leggendo, ha goduto. Perché ha letto quel libro piacevole, non perché legge in sé e per sé. Un libro è il suo lettore, non c’è agente di vendita migliore del lettore soddisfatto, per un libro; la cultura è essenzialmente spargimento dei semi, da cui poi nasceranno germogli e infine frutti. La sensazione invece è che le politiche di promozione della lettura, così come vengono analizzate nel Rapporto, considerino il lettore un fattore secondario, un elemento tra i tanti, un “volontario” appunto, come si dice più e più volte nel rapporto; come se promuovere la lettura equivalesse a offrire un aiuto ai superstiti di un terremoto. (continua)

Qui la terza parte dello speciale.

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Commenti (3)

  • Aldo C. Marturano

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    L’art. è troppo generico e continua a insistere sui bambini e non sugli adulti che sono i primi pedagoghi dei bambini e sono proprio coloro che non leggono. Se si fa un raffronto con altre realtà come il mondo lettore di lingua tedesca o russa ecco che appare la pochezza e la infima qualità dell’editoria italiana, piccola imprenditrice di opere che non fanno riflettere chi legge, ma solo “godere”. La gente invece ha bisogno di capire e di conoscere e purtroppo dal punto di vista scolare è impreparata a questo ed è inutile insegnare ai bambini a leggere quando l’offerta di lettura è così bassa. Un libro è l’apertura di un discorso fra autore e lettore e, se è improntato a parlare del niente, sarà un discorso senza senso. I ns. libri sono pieni di foto e mancano di testo riflessivo, pedagogico, stimolante alla curiosità e alla ricerca. D’altronde come può un editore italiano OGGI con bassa scolarità lui stesso scegliere testi di elevato contenuto?

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    • Redazione

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      L’articolo è parte di uno speciale che stiamo scrivendo a puntate. Purtroppo forse non ci siamo spiegati bene, per ‘godere’ noi intendiamo anche la riflessione e lo studio, per coloro che amano studiare, e non è qualcosa che si possa imporre, fuori dalla scuola (non andrebbe imposta neanche a scuola, crediamo noi. Sarebbe molto più efficace). Riteniamo, con tutto il rispetto, che anche lei continui a fare confusione tra libro come strumento di intrattenimento, e ‘cultura’. Un capolavoro che mi emoziona è prima di tutto una grande fonte di gioia, di emozione, e anche di apprendimento o di acculturamento. Ma è, e sarà sempre, in primo luogo una fonte di emozioni positive che vorrò condividere con gli altri. Non si legge per ‘acculturarsi’, questa è una visione snob, stantìa della cultura. Ma soprattutto inefficace. Si legge perché leggere ci dà piacere (il piacere di una risata, di un’emozione, ma anche il piacere di una riflessione, per quanto esso sia sempre più raro). Qualunque politica della cultura dovrebbe fare leva su questo. A nostro parere, ovvio. E siamo in ogni caso più che disponibili a ospitare qualunque sua riflessione in merito, se volesse inviarci un articolo saremmo lieti di pubblicarlo.

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