Speciale Editori Indipendenti: “siamo indipendenti perché per noi il libro non è solo una merce” (III)

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(continua dalla prima e dalla seconda parte) Il minimo comune denominatore di ogni scambio e dialogo che abbiamo intrattenuto nei giorni della Fiera con gli editori organizzati in ODEI è questo: “Il libro per noi non è solo una merce. Non ignoriamo la componente economica e di mercato, ma ci rifiutiamo di ricondurre il libro a puro oggetto da vendere”. Che differenza ci sarebbe, altrimenti, con una scatola di fagioli? In realtà Gian Arturo Ferrari oggi presidente del Cepell sosteneva anni fa che non dovrebbe essercene nessuna. Il manifesto di ODEI sostiene invece e argomenta l’idea che un libro sia un “bene comune”, una risorsa legata a un intero ecosistema culturale, e non solo un mercato. Da questa concezione del libro scaturisce l’autodefinizione di “editore indipendente”. Annalisa Proietti, direttrice editoriale della casa editrice gran vía, spiega: “Essere indipendenti come editori significa pubblicare ciò che si ritiene vada pubblicato, guardando sì al mercato ma senza pensare al libro come a un puro oggetto di marketing. Pensare all’importanza di un libro in quanto opera che vale la pena diffondere, e quindi vendere, per ciò che racconta e per come lo fa. Per noi esiste prima il libro e poi il mercato. Ma la grande editoria e quella mainstream ragionano esattamente al contrario: oggi ci sono libri che nascono direttamente negli uffici marketing e commerciali. “Per le case editrici di catena”, le fa eco Gino Iacobelli “la qualità del libro coincide con la sua vendibilità”, e per vendibilità si intende solo quella immediata. “I libri che si pubblicano sono solo quelli in grado di vendere entro i primi 30 giorni prima di sparire dal catalogo  (le stesse considerazioni che faceva qualche settimana fa a Bibliocartina Mauro Casiraghi, autore passato per questo all’autopubblicazione). Sottostare a questo tipo di dettami economici significa comunque rinunciare alla propria indipendenza di pensiero e di scelte in merito alle esigenze del proprio progetto editoriale”, perché un libro non è solo un prodotto in sé; “una casa editrice di progetto sceglie i propri titoli cercando di costruire un discorso più ampio, che si snoda titolo dopo titolo”, racconta Annalisa Proietti.

Un certo tipo di approccio al libro sarà in ogni caso- ci spiega Andrea Staid di elèuthera – anche un requisito per poter aderire all’Osservatorio degli Editori indipendenti. “Chi si autodefinisce editore, ma in realtà altro non è che un service editoriale perché pubblica e stampa solo su richiesta altrui – e non sono poche le case editrici che adottano questo tipo di pratica – non è un editore davvero indipendente, perché non opera scelte editoriali che prevedono un rischio d’impresa, in virtù di un progetto narrativo. Una cosa è che un’Università o un’istituzione co-finanzino un progetto di traduzione o di pubblicazione in ogni caso coerenti con una certa politica dell’editrice. Altra cosa è stampare libri solo su richiesta, purché si paghi”. Staid spiega inoltre che è allo studio anche l’idea di una sorta di carta di principi di ODEI che “definisca aspetti basilari di un’etica condivisa” tra gli aderenti all’Osservatorio, tra cui certo l’approccio professionale al mestiere di editore tramite una “ragion d’essere e di narrare che non si esaurisca nello stampare solo libri su richiesta, perché quello è un altro mestiere”, ma anche una salvaguardia dal punto di vista etico più profondo: “fatta salva la libertà e il pluralismo d’idee che ODEI già rappresenta, case editrici fasciste o che fomentano l’odio razziale non saranno accolte”. (continua)

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