London Book Fair: (auto)imprenditorialità, comunicazione e traduzione sono le porte del futuro (II)

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Il mercato editoriale, dicevamo ieri nella prima parte di questo speciale conclusivo sulla London Book Fair, è di fronte a un salto. A Londra abbiamo capito che la possibilità di superare l’ostacolo, o di cadere giù, è aperta: in larga parte dipenderà da inventività e spirito imprenditoriale.

Lo stand della Turchia, ospite d'onore 2013

Lo stand della Turchia, ospite d’onore 2013

Mercato mondiale da una parte, forti localismi dall’altra – Nella Fiera è emerso un dualismo che è ancora una dicotomia: quella tra mercato mondiale da una parte, e fortissime differenziazioni nazionali dall’altra. Non solo nel volume d’affari, o nell’avanzamento tecnologico, ma differenze d’approccio innanzitutto umano, di visione, di attitudine. In una Fiera che, come abbiamo appena detto, si basa fondamentalmente sul faccia a faccia, ciò che si trasmette con il proprio modo di porsi conta. Gli editori anglosassoni raccontavano alla stampa di settore britannica la sensazione di malinconia nel parlare con gli editori italiani e spagnoli: “prima di arrivare a discutere d’affari, tocca sorbirsi 10 minuti di lamentazione sulle difficoltà del mercato”, dicevano. Difficile con questo approccio apparire convincenti quando si tratta di vendere i diritti di opere italiane, vien da dire. Difficile soprattutto, con questo tipo di attitudine, dare dell’Italia un’immagine se non proprio vincente, almeno dinamica. I numeri potrebbero tra l’altro, persino smentire questo chiacchiericcio pessimistico continuo. “Ci sarà anche crisi, ma allo stand italiano ci sono persone che non hanno potuto alzarsi un attimo dalla sedia. I contatti sono stati incessanti”, ci ha raccontato Alfieri Lorenzon dell’AIE da noi intervistato a Londra.

Una Fiera è anche trionfo d’immagine, una strategia d’immagine, una partita di immagine. L’investimento di alcune nazioni in particolare sulla magnificenza dei propri padiglioni lo dimostra: la Cina continua a insistere sulla propria grandezza, così come tantissimi paesi cosiddetti emergenti (Turchia ospite d’onore del 2013 ma anche Oman, Romania, Corea). Lo fanno, diversamente, anche le grandi case editrici anglosassoni: Hachette, Harper Collins, Penguin, Random House (quest’ultime due presenti ancora divise, nonostante la fusione) non hanno badato a spese, vogliono apparire come leader. Kobo e in generale le grandi imprese del digitale segnano punti a favore della “rivoluzione tecnologica” in editoria anche grazie agli investimenti di presentazione: quest’anno l’Earls Court 2, il secondo padiglione della Fiera, era largamente occupato da aziende digitali. Amazon invece ha scelto una strategia della tensione (altrui), tanto fastidiosa quanto efficace: non era presente alla fiera con un suo spazio dedicato. Amazon serpeggiava. Si insinuava negli angoli, nelle discussioni, nei rivoli di sudore di tanti, nella necessità di un massaggio di pausa offerto dai solerti massaggiatori ambulanti che di tanto in tanto spuntavano. Ad Amazon è stato dedicato l’intero Great Debate di apertura della Fiera. Ed è stata Amazon, attraverso il suo progetto Crossing, lo sponsor dell’affollato Literary Translations Centre, che ha ospitato numerosi dibattiti sulla traduzione letteraria in un’ottica >EN, diremmo con linguaggio da addetti ai lavori, ovvero pensando innanzitutto alla traduzione verso l’inglese di opere del mondo.

Autoimprenditorialità – Non solo selfpublishing: l’autopubblicazione rappresenta una fetta, crescente certo, del mercato professionale dei libri. Ma a partire dalle possibilità che internet offre, è in crescita vertiginosa il numero di agenti letterari, di agenzie di servizi, di addetti al marketing e al web marketing che si dedicano all’impresa del “fare libri”. L’Authors Lounge ha ospitato decine di dibattiti sul come dare avvio alla propria attività in proprio, sia essa di editore, di agente, di scrittore.

Il Literary Translations Centre

Il Literary Translations Centre

La traduzione, il nervo coperto del mercato editoriale mondiale – Sarà forse per deformazione professionale (chi scrive sostenta il suo vivere quotidiano con i proventi dell’attività di traduttrice), ma il fatto che sia stata Amazon Crossing a sponsorizzare il centro traduzioni ci ha colpito molto e ci ha dato tanto da pensare. L’editoria mondiale vive di scambi di parole in più lingue. Se esiste un mercato mondiale, è perché esistono le traduzioni e i traduttori. E sui proventi dei libri tradotti si fonda una buona fetta dei ricavi degli editori e di tanti altri addetti ai lavori. Questo non è il vecchio, né il nuovo: questo è l’ancestrale, questo è ciò che è sempre stato e sempre sarà. Per comunicare tra più lingue ci sarà sempre bisogno di persone, non c’è Google Translate che tenga, e anzi più si va avanti con queste tecnologie, più è evidente a tutti che il linguaggio è prerogativa umana e non è qualcosa che sia robotizzabile. Eppure i traduttori, persino in una fiera di addetti ai lavori come quella londinese, tendono a scomparire. Non se ne vedono i nomi né le facce, eccettuato il recinto del Literary Translators Centre. L’editore si fa mediatore ma anche filtro tra un libro e le sue traduzioni e il traduttore pare, per il momento, accontentarsi di questo. Ma attenzione, perché la crescita della lettura in digitale rischia di sparigliare le carte anche da questo punto di vista. E anche per il traduttore, così come per l’autore, crescono le possibilità di svincolarsi dalle case editrici e dai loro miseri compensi per giocare la carta dell’autoimprenditorialità. A naso, questa è una delle strade che prenderà la traduzione editoriale nel futuro. Autopubblicazioni che possono tramutarsi in accordi diretti tra autore e traduttori per entrare in più mercati possibili, magari con l’intermediazione di agenti letterari. Guadagni meno certi, ma potenzialmente maggiori. Rischio d’impresa assunto direttamente e con cognizione di causa, sicuramente preferibile ad assumerselo nei fatti perché tanto se un libro va male, non si viene pagati. Editori, portate con voi in fiera i vostri traduttori: vi conviene. Curateli, trattateli bene, rendete loro conveniente continuare a rivolgersi a voi. Perché il futuro si avvicina anche in questo senso e iniziative come quelle dei Dragomanni forse per ora non vi sottraggono chissà quali profitti, ma non è detto che ciò non possa avvenire.

La campagna pubblicitaria Books are my bag

La campagna pubblicitaria Books are my bag

Promozione della lettura: leggere è cool, non si tratta di salvare le balene – Non ce ne vorranno i tanti seri e bravi professionisti che ogni giorno dedicano in Italia le proprie energie alla promozione della lettura, ma a Londra è apparso evidente che promuovere la lettura giammai potrà essere un’attività gratificante se vista in un’ottica da Greenpace o WWF. Non si tratta di volontariato: si tratta di cultura, di idee, di marketing, sì, di marketing. Sarà anche vero – come ci hanno raccontato tanti giovani italiani emigrati in Inghilterra, nei giorni che abbiamo trascorso a Londra – che oltre Manica ogni idea rischia di pervertirsi immediatamente in business. Ma cum grano salis, alla latina, un po’ di spregiudicatezza in più non guasterebbe nel momento in cui si punta a convincere che leggere è bello. La campagna di promozione delle librerie indipendenti che la Booksellers Association (un’associazione che in Inghilterra gode di cospicui aiuti pubblici alle proprie campagne, non dimentichiamolo) inglese ha presentato alla LBF vede ideatore niente meno che il barone Maurice Saatchi, uno dei pubblicitari più famosi del pianeta. Saatchi ha partorito un’idea tanto semplice quanto mostruosamente efficace: una sportina di tela, semplice semplice, recante in arancione la scritta “Books are my bag”, che letto all’inglese significa “i libri sono la mia passione”, oltre che “il mio bagaglio” sottoforma di borsa. Da metà settembre fino a Natale scrittori e personaggi del mondo dello spettacolo presteranno la propria immagine a favore delle librerie indipendenti, e saranno messe in circolazione migliaia di borse griffate Books are my bag che i lettori, secondo il meccanismo virale più semplice del mondo, porteranno in giro con sé, uscendo dalle librerie. Non si risolverà il problema dell’analfabetismo di ritorno, ok. Ma ciò che comunica una campagna del genere è un’immagine di bellezza, successo, felicità e soddisfazione associata alla lettura. Ci auguriamo vivamente che anche in Italia si tragga spunto da questa idea per pensare campagne di lettura in un’ottica positiva e non di lotta sconsolata contro i mulini a vento, come spesso avviene. (fine)

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Commenti (5)

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    […] "Editori, portate con voi in fiera i vostri traduttori: vi conviene. Curateli, trattateli bene, rendete loro conveniente continuare a rivolgersi a voi. Perché il futuro si avvicina anche in questo senso e iniziative come quelle dei Dragomanni forse per ora non vi sottraggono chissà quali profitti, ma non è detto che ciò non possa avvenire."  […]

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    […] "Mercato mondiale da una parte, forti localismi dall’altra – Nella Fiera è emerso un dualismo che è ancora una dicotomia: quella tra mercato mondiale da una parte, e fortissime differenziazioni nazionali dall’altra. "  […]

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    […] "L’editoria mondiale vive di scambi di parole in più lingue. Se esiste un mercato mondiale, è perché esistono le traduzioni e i traduttori. E sui proventi dei libri tradotti si fonda una buona fetta dei ricavi degli editori e di tanti altri addetti ai lavori. Questo non è il vecchio, né il nuovo: questo è l’ancestrale, questo è ciò che è sempre stato e sempre sarà."  […]

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    […] "L’editoria mondiale vive di scambi di parole in più lingue. Se esiste un mercato mondiale, è perché esistono le traduzioni e i traduttori. E sui proventi dei libri tradotti si fonda una buona fetta dei ricavi degli editori e di tanti altri addetti ai lavori. Questo non è il vecchio, né il nuovo: questo è l’ancestrale, questo è ciò che è sempre stato e sempre sarà."  […]

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